Prelievo forzoso del dna? Va bene, ma lasciamo stare i “colletti bianchi” (dalla serie “Ccà nisciuno è fesso)

(forumcostituzionale.it/)  – TRATTATO DI PRÜM. UNA RIVOLUZIONE SILENZIOSA (FINORA) di Ciro Sbailò (7 agosto 2009) (clicca qui per l’articolo integrale)

 

poliziapenitenziaria.it

“Con il consenso di tutte le forze politiche, e qualche rara voce critica, il 24 giugno di quest’anno il Senato ha approvato l’adesione dell’Italia al trattato di Prüm sulla cooperazione trans-frontaliera per il contrasto alla criminalità (L. 85/2009). Il documento contiene varie norme di contrasto al terrorismo, dall’attribuzione di maggiori poteri ai funzionari di polizia, quando questi si trovino nella necessità di attraversare la frontiera di un Paese membro UE, alla possibilità di far viaggiare sugli aerei guardie armate in borghese. Ma la sua parte più rilevante consiste negli articoli dedicati al prelievo forzoso per fini giudiziari del DNA e alla creazione di una relativa banca dati coordinata con altre banche dati europee. Non s’é trattato di una mera ratifica, poiché è stato necessario apportare alcune modifiche alla normativa interna, con significativi risvolti di ordine costituzionale. È stata, per certi aspetti, una piccola rivoluzione, che finora ha fatto discutere poco. Entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge dovranno essere emanati i relativi decreti attuativi: in attesa che si apra un confronto su questi ultimi, ci pare utile svolgere qui alcune brevi considerazioni, a partire da una sintetica panoramica sull’iter della norma….”

Sono passati anni, da allora, fino a quando (fonte, osservatoriosullefonti.it): ” Con legge 85/2009 il Presidente della Repubblica è autorizzato ad aderire al trattato di Prum. Con il Trattato di Prum alcuni Stati membri dell’UE hanno inteso rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta contro il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale.”

E quindi: “L’articolo 5 della legge prevede l’istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA le cui attività di prelievo di campione biologico e tipizzazione del profilo del DNA, trattamento, accesso e cancellazione dei dati nonché distruzione dei campioni biologici sono disciplinate dagli articoli 7-13…..”.

E ancora: “L’articolo 25 introduce l’articolo 359 bis del codice di procedura penale, che definisce la procedura per il compimento delle operazioni idonee ad incidere sulla libertà personale. Segnatamente: quando devono essere eseguite le operazioni di cui all’articolo 224-bis e manca il consenso della persona interessata, il pubblico ministero ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che autorizza tali operazioni con ordinanza; nei casi di urgenza il pubblico ministero dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato.”

Ovviamente la stampa di regime gongola, anche se Ilsecoloxix.it (14 maggio 2017) recrimina (il neretto è mio, ndr):” Anche a Genova come in tutte le altre città è iniziata questa raccolta dati. Anche se nel capoluogo ligure l’avvio della rivoluzionaria procedura è partita in ritardo di qualche mese rispetto all’entrata in vigore della legge. Colpa di una normativa piuttosto stringente. Che prevede la realizzazione di postazioni asettiche all’interno di caserme o commissariati e la formazione di personale specializzato che si occupi tecnicamente del prelievo.” Salvo poi comunque gongolare perché: “In città, i prelievi del Dna sono iniziati solo a gennaio: ad oggi sono già 830 le persone schedate grazie ai test della saliva che sono stati effettuati nelle case circondariali e nelle caserme.

 

foto MACERIE E
STORIE DI TORINO

E veniamo adesso ad un articolo che mi (ci?) interessa molto di più, pubblicato da Macerie, in cui Uno degli arrestati a Torino il 3 maggio 2017, tutt’ora detenuto alle Vallette “continua a domandarsi quali potrebbero essere le possibilità per opporsi.”

«Scrivo qualche riga per raccontare quanto è avvenuto durante il nostro arresto di qualche giorno fa, relativamente alla permanenza nel questura di via Grattoni, a Torino. E al procedimento identificativo.

Le parole che seguono, come spero si capisca, non mirano ad impressionare nessuno, ma a condividere una piccola esperienza sulle modalità repressive della controparte, in particolare sul prelievo del Dna, di cui in Italia si sa ancora ben poco. 

Appena arrivati in questura per formalizzare l’arresto siamo stati sottoposti ai controlli di rito, foto-segnalazione e prelievo delle impronte. Una volta completata questa fase hanno iniziato a chiamarci per il prelievo del Dna; anche se in quel momento eravamo separati, come del resto in quasi tutte le fasi dell’identificazione, tutti e tutte avevamo in mente cosa fare.

Avendo già discusso sulla questione Dna e interessati a capire se ci fosse spazio di manovra per opporsi, abbiamo deciso di rifiutare il prelievo e resistere. Una volta comunicato il nostro rifiuto, Digos e polizia scientifica hanno iniziato a parlottare, mimando gesti di quello che sarebbe stato il prelievo con la forza.

Detto ciò, io e un altro compagno, una volta messi insieme, abbiamo acceso entrambi una sigaretta. Non appena abbiamo iniziato a fumare, dopo qualche tiro, cinque agenti della Digos ci si sono gettati addosso nel tentativo di sottrarci le sigarette, dopo un po’ di strattonamenti una di queste è stata trovata, un’altra no. Così uno di noi è stato messo da parte per essere perquisito e malgrado ciò nulla è stato rinvenuto.

Un agente della Digos visibilmente innervosito dall’accaduto, è ritornato indietro e tra le cicche spente per terra, lasciate là dalle decine e decine di fermati ogni giorno e magari dagli stessi agenti della polizia, ne ha presa una a caso dal pavimento e l’ha messa in una busta con su scritto: “Dna + nome e cognome”.

Alla richiesta di verbalizzare l’accaduto è stato risposto un netto rifiuto. Dopo un’ora si è iniziato con il prelievo vero e proprio. Uno ad uno a turno siamo stati portati in un ufficio della polizia scientifica. Racconterò ciò che è accaduto a me. Sono entrato nell’ufficio e sono stato ammanettato e messo a sedere, sulla mia sinistra è stato piantato un treppiedi con una telecamera. Di fronte a me due uomini in camicia della scientifica, dietro di me 5 o 6 agenti della Digos. Due carabinieri in uniforme, infine, a presenziare alla cerimonia.

Comincia lo spettacolo, la telecamera inizia a registrare, viene aperta la busta del Ministero con il materiale, un funzionario di polizia recita una formula di rito a cui io rispondo negativamente. Tale formula ha il sapore della sentenza. Così gli agenti della Digos, aiutati dai carabinieri, si buttano su di me, mani al collo, testa all’indietro, stringono forte, cercano di farmi spalancare la bocca, mi danno colpi nel ventre e con le dita cercano di scavare le guance e nel costato. Intanto si avvicina uno dei due in camice e con il tampone mi preme con forza sulle labbra serrate. Mi tappano il naso, non riesco più a respirare, apro la bocca, l’agente ci ficca dentro il tampone per più volte. Mi lacrimano gli occhi, ho un conato di vomito, sono pieno di bava sulla faccia. L’operazione si ripete una seconda volta, sempre peggio e neanche i presenti, forse novizi della pratica, sembrano gradire la scena.

Finisce tutto, chiuso il sipario, ma senza applausi.

Queste quattro parole scritte volevano dare una fotografia su ciò che accade in caso ci si rifiuti di aprire spontaneamente la bocca, oltre che mostrare come il prelievo, come detto nella prima parte del testo, si presti alla completa arbitrarietà di chi lo effettua raccogliendo campioni un po’ come meglio crede.

Molti diranno: “Cosa ti aspettavi da un prelievo coatto? Un invito a cena?” Personalmente mi aspettavo questo. Certo viverlo non è esattamente come pensarlo, ma ero pronto a questo. Soprattutto ero interessato a capire cosa possiamo fare, dove ci possiamo spingere, cosa ci possiamo inventare per impedire, contrastare e non normalizzare questa pratica abominevole, disgustosa come chi la esegue».

Ovviamente

Italia Oggi 19/03/2016

anche se

Niente prelievo forzoso del dna per i criminali a cui da la caccia (?) la DNA

D’altra parte, a quanto racconta Gian Antonio Stella nel suo articolo  “Reati dei «colletti bianchi»: solo 230 dei colpevoli sono in carcere” su corriere.it del febbraio 2015: “Trentacinque carcerati a uno: ecco lo «spread» che la Germania ci infligge sul rispetto delle regole della sana economia. I «colletti bianchi» che violano le leggi fiscali o finanziarie, a Berlino e dintorni, sono sbattuti in galera con una durezza da noi impensabile: 7.986 detenuti loro, solo 230 noi. Fermi a un decimo della percentuale europea. E torna la domanda: è un caso se gli stranieri preferiscono investire altrove? I dati che ci inchiodano come un paese eccessivamente permissivo nei confronti dei corsari dell’aggiotaggio, della truffa fiscale, delle insider trading, della bancarotta fraudolenta e di tutti gli altri reati legati alla criminalità finanziaria ed economica sono contenuti nel rapporto 2014 del Consiglio d’Europa, appena pubblicato, sulla popolazione carceraria nel nostro continente e in alcuni paesi dell’area come l’Azerbaijan o l’Armenia. Rapporto curato da Marcelo F. Aebi e Natalia Delgrande, dell’Università di Losanna….”

 

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