Accoglienza: l’esperienza della Rete Solidale di Pordenone

Nella mappa, disastrata, dell’accoglienza in Italia l’iniziativa delle persone solidali é spesso l’unica risposta positiva ad un problema che troppo spesso le autorità preposte considerano un problema di degrado e/o di ordine pubblico. Oggi vi propongo la vicenda di Pordenone, raccontata direttamente  dalla Rete Solidale di Pordenone. La scelta delle immagini e le didascalie sono opera mia. 

L’immagine é tratta dalla pagina fb della Rete con questa presentazione “Dedicato a @Carolina Farinaro e alla sua solidarietà. Dedicato ad @Abdul Qayum Sial e al suo impegno. Oggi è una bella giornata!”

CRONISTORIA

La vicenda dei richiedenti asilo “per strada” a Pordenone comincia nel tardo autunno 2014 con i primi arrivi dalla rotta balcanica.
I posti in accoglienza erano già saturati soprattutto dai richiedenti arrivati mesi prima da Lampedusa con l’operazione Mare Nostrum e dalla precedente emergenza NordAfrica.
Gli attivisti hanno cominciato a portare teli di plastica e coperte per riparare i richiedenti asilo arrivati a dicembre, che dormivano nel parchetto della Caritas.
I numeri sono velocemente aumentati e così hanno trovato riparo nei locali dell’Associazione Immigranti di Pordenone dove hanno sostato per mesi dormendo sul pavimento, con un solo bagno arrivando fino a 74.
Sgomberati e collocati in accoglienza una parte nel settembre del 2015.
Accolti in alcune case degli attivisti e nella sede di Rifondazione Comunista per un breve periodo fino a quando i numeri hanno ricominciato a lievitare ed è stata allestita una tendopoli al Parco San Valentino, in città.
Contemporaneamente nasce una rete spontanea di persone che si occupano sia dell’aiuto materiale ai rifugiati, sia di dare informazioni corrette sui percorsi che devono fare per entrare in accoglienza. È la Rete Solidale di Pordenone, costituita dall’Associazione Immigrati, da vari gruppi ed associazioni e da volontari laici o delle parrocchie che lavorano insieme alla primissima accoglienza per strada di chi arriva, chiede asilo e non trova posto in hub.

Arrivati a 70 presenze, la tendopoli del parco pubblico (battezzata IL CAMP) viene smantellata e le persone collocate in varie strutture della Provincia. Dopo pochi giorni, ricominciano le presenze per strada, si inizia allora a parlare di hub e accoglienza diffusa. L’hub verrà aperto solo nel 2016, per 70 persone, in una caserma dismessa alla periferia nord di Pordenone.

Il sindaco (PD) Pedrotti

Il sindaco di allora, Pedrotti (PD) emette un’ordinanza antibivacco per impedire ulteriori occupazioni di parchi.

Ma le persone esistono e quindi i parchi della città continuano ad essere occupati, vista anche l’impossibilità da parte delle forze dell’ordine di allontanare dalla città i richiedenti asilo che già hanno fatto domanda alla Questura di Pordenone. Andandosene infatti, perderebbero il loro diritto di entrare in accoglienza.

La richiesta principale della Rete Solidale e dei richiedenti asilo, fin dall’inizio, è stata l’apertura di un Centro di Accoglienza o di un dormitorio pubblico, per offrire riparo alle persone provvisoriamente senza tetto, non distinguendo fra italiani e stranieri per strada, anche in considerazione del fatto che sempre più c’è e ci sarà una percentuale di italiani in situazione di disagio.

Le persone esistono….

Le cose vanno avanti passando da un luogo all’altro, sempre o sgomberati o con interventi da parte della Prefetta che di tanto in tanto spostava gruppi di richiedenti asilo in altre città.

Questi passaggi di luogo in luogo, hanno portato i rifugiati a una situazione sempre più marginale e di invisibilità in città, con un progressivo allontanamento dal centro, dai parchi a una zona centrale ma urbanisticamente “deserta” come il cosiddetto Bronx, dove c’è stato nell’inverno 2016, l’ultimo grosso concentramento semivisibile dei richiedenti e una capacità collettiva di richiedere con forza un ricovero per l’emergenza freddo, alla situazione attuale di totale invisibilità degli stessi che sono stati letteralmente cacciati ai margini della città.

In questo momento la situazione è: circa una 70 di persone che dormono letteralmente o nei fossi sul ciglio della strada che fronteggia l’hub, o in seminterrati e parcheggi dispersi e nascosti in giro per la città, in continuazione svegliati di notte e fermati di giorno, con i loro pochi effetti personali, con coperta e/o sacco a pelo che vengono spessissimo sequestrati. Identificazioni e sequestri quasi quotidiani, anche quando dormivano tutti insieme al Bronx.

CLIMA POLITICO CULTURALE A PORDENONE

Il nuovo sindaco, Ciriani, “degno” successore di Pedrotti

Un po’ prima che l’assembramento del Bronx venisse disperso (nell’aprile 2017) è cambiata l’amministrazione comunale che ha continuato le politiche del primo sindaco ma in modo molto più aggressivo ed esplicito, con una campagna stampa massiccia contro i rifugiati visti unicamente come un problema di ordine pubblico e decoro e un continuo tentativo di criminalizzazione dei volontari e della Rete Solidale, indicati come “scafisti di terra”, additati come interessati a far confluire i rifugiati a Pordenone, ripresi con TV e smartphone, dileggiati quotidianamente attraverso una rete televisiva locale (TPN) e sui social, dove il sindaco interviene quotidianamente aizzando e indirizzando l’opinione pubblica e sostenendo che se Pordenone ha un numero di rifugiati in accoglienza superiori a quelli previsti dalla legge sui rifugiati, è colpa di chi li chiama! 
La Rete ha sempre sostenuto l’accoglienza diffusa e chiesto al sindaco e alla prefettura di attivarsi in tal senso. Ma è ovvio che essendo Pordenone sede dei servizi essenziali per i richiedenti asilo, questi ultimi preferiscono stare in città.
Il giornalista di Tele Pordenone in un video, fa un giro riprendendo i luoghi della città abitati dai rifugiati e invitando i cittadini senza divisa a intervenire, visto che chi ha la divisa non interviene a sufficienza.

LA PORDENONE SOLIDALE

La Rete Solidale e i cittadini di Pordenone in una delle numerose manifestazioni indette

Oltre alla Rete Solidale, sul territorio sono presenti anche le forze del volontariato cattolico e altri volontari laici che quotidianamente si occupano dei bisogni primari dei rifugiati. Una parte dei cattolici, dopo la permanenza di circa 1 mese e mezzo di una cinquantina di rifugiati fuori da una chiesa durante l’inverno del 2015, hanno cominciato a chiedere l’apertura delle parrocchie che si è concretizzata dopo la fine dell’emergenza freddo, dando così ricovero ai richiedenti in strada (con grande collaborazione dei vari attivisti, volontari e CRI che intanto aveva iniziato a fornire un pasto serale a tutti). L’ospitalità delle parrocchie va da aprile e metà giugno 2017.
Solidali e partecipi sono anche, fin dall’inizio, Rifondazione Comunista che più volte apre la propria sede, i circoli Arci, gli anarchici dell’Associazione Libertaria Zapata che hanno raccolto fondi, manifestato con noi ecc ecc.

Dopo la bocciatura del dormitorio in luglio, l’indignazione e la solidarietà in città sono molto cresciute e accanto ai soggetti sopra descritti, si sono aggiunte altre persone che hanno costruito un tavolo di sostegno al progetto CRI del dormitorio.

STORIA DEL DORMITORIO

Come per tutti i gruppi grandi di persone, anche fra i rifugiati esiste una parte, per fortuna molto piccola, di persone con fragilità di vario genere, senza reti parentali o risorse materiali e culturali. Questo gruppo di persone fa fatica a progettarsi e più a lungo resta sulla strada, più facilmente sprofonda in situazioni di degrado, iniziando anche a bere e a usare/vendere cannabis e hashis. Accanto a queste persone, ce ne sono altre che stanno lunghi periodi sulla strada a Pordenone per rinnovare il proprio permesso di soggiorno a causa delle lungaggini della Questura. Ce ne sono altre ancora, che escono dai progetti per rigidità degli stessi (a volte basta una piccola lite); non perdono lo status di richiedente asilo e continuano quindi ad attendere (anche 15 mesi), in strada, di essere convocati dalla Commissione Territoriale di Gorizia e, se va male, continuano per circa un altro anno, l’iter del ricorso al Tribunale di TS. Nell’inverno del 2015 l’Ente gestore CoopNoncello ha dato in autogestione un suo appartamento dedicato a queste persone fuori accoglienza, che è proseguito fino all’aprile del 2017, quando ha preso corpo l’idea di aprire un dormitorio che rispondesse in modo strutturato a questa domanda e alle persone in attesa di entrare in hub, che continuavano ad oscillare periodicamente da pochi numeri a un massimo di 70 /75.
La CRI (in ottemperanza al proprio principio di reinvestire le eccedenze fatte sulla gestione dei richiedenti asilo, in progetti per gli stessi) che aveva avuto la gestione dell’hub per l’anno 2016 e che già dallo stesso inverno portava i pasti ai senzatetto, ha deciso di percorrere questa strada in accordo con gli Enti gestori che avrebbero contribuito e dato sostegno alle spese. Quindi a COSTO ZERO per la città.

Un primo posto è stato individuato in un quartiere di Pordenone, ma il Sindaco, la TV locale (TPN), Casa Pound e la Lega, hanno fatto una violentissima campagna contro l’apertura del dormitorio che avrebbe dovuto contenere anche la mensa (con gazebo e raccolta firme). La Prefetta pubblicamente disse che il progetto era buono ma sbagliato il luogo e dava mandato di trovare un altro posto più adeguato (= meno visibile).

Nel frattempo i richiedenti asilo, nonostante i continui pattugliamenti dei parchi, il sequestro dei loro ricoveri, la virulenta campagna sul decoro a tratti apertamente razzista, continuavano ad oscillare fra poche decine e il tetto di una settantina, costretti progressivamente a nascondersi sempre di più e sempre più ai margini della città, fino a finire nei fossi sulla strada di fronte all’hub e in edifici semidiroccati.

Si è costruito così un nuovo tavolo per supportare la CRI, che nel frattempo ha aperto una mensa serale nei locali del Villaggio del Fanciullo in Comina (zona periferica della città vicino all’hub), in un nuovo progetto di ricerca di un locale per il dormitorio.
Il locale è stato trovato proprio in questa zona periferica e industriale, l’accordo con il proprietario raggiunto, i’aspetto tecnico messo a punto, quello sanitario e abitativo anche. Oltre al dormitorio con le sue regole, il progetto prevedeva anche un punto per l’ambulatorio (con medici volontari), una scuola di italiano (sempre volontari) e un punto informativo per muoversi nella burocrazia e nei servizi (anche, nel caso, per il rimpatrio assistito). Il tutto di nuovo a carico CRI e supporters, e a COSTO ZERO PER LA CITTA’.

La prefetta Maria Rosaria Laganà

La risposta della Prefetta è nel suo comunicato stampa allegato e quella del Sindaco nel video. Cioè non c’è problema.
Salvo poi il giorno dopo chiedere di nuovo ai cattolici di aprire le parrocchie e a una loro risposta negativa, la decisione di cercare un nuovo dormitorio fuori città. Ufficialmente non si vuole il dormitorio in città, le parrocchie però sono in città (contraddizione) e comunque hanno enormi difficoltà logistiche, già verificate l’anno precedente.
Intanto i rifugiati e richiedenti asilo continuano a dormire in strada, sui social vicini al Sindaco e nella TV locale si bullano su quanto il sindaco abbia gli attributi (mi scuso per la volgar espressione) e il gruppo dei più vulnerabili è sempre più allo sbando con atti di autolesionismo, e addirittura la morte di uno di questi vulnerabili, Karnail Singh, indiano quarantenne, in un parcheggio per un mix di farmaci e altre sostanze. Ultimamente chiedeva insistentemente di poter tornare a casa, ma chi sta per strada normalmente non ha i soldi per farlo e la Questura, dandogli il foglio di via, non lo ha certo informato che avrebbe potuto usufruire del rimpatrio assistito.

Il video girato da Ivan Grozny,  giornalista,  tra i richiedenti asilo che vivono sulla strada: “bellissimo video per chi vuole anche ascoltare e cercare di capire.”

https://www.facebook.com/ivangroznycompasso/videos/1550150798398842/

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