Walter Benjamin e l’ecosocialismo, raccontato da Michael Löwy

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che     sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradio, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”

“Angelus Novus” Paul Klee, 1920 Olio ed acquerello su carboncino, 31,8 x 24,2 cm The Israel Museum, Gerusalemme

Con queste parole Walter Benjamin , nelle sue Tesi di filosofia della storia, interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. Un immagine che colpisce profondamente Benjamin, tanto che nel 1920, rientrato a Berlino, tenterà senza successo di dare vita ad una rivista che portava questo titolo.

Benjamin, di famiglia alto-borghese di origine ebraica, morì nel 1940; in viaggio per raggiungere gli Stati Uniti, viene arrestato in Spagna e nella notte tra il 26 e il 27 settembre si suicida per non correre il rischio di essere mandato nei lager tedeschi.

La targa della casa a Berlino in cui Walter Benjamin visse dal 1930 al 1933

In proposito vi propongo la lettura di una riflessione di Federico Musardo : Tra Benjamin e Kafka, una curiosa pseudo-coincidenza.

E’ questa la prima volta  che mi avvicino a Benjamin ed al suo pensiero e lo faccio grazie alla lettura dell’articolo che segue – tratto da “Cahier d’histoire – Revue d’histoire critique” e da me tradotto dal francese – che mi ha così fatto scoprire un pensatore che credo dica, pur nel / grazie al suo marcato pessimismo, cose di grande rilevanza ancora oggi, o forse ancor più oggi; anche l’autore, Michael Löwy, ha scritto importanti saggi  sull’ecosocialismo, vedi qui.

 

Walter Benjamin, precursore dell’ecosocialismo”,

di  Michael Löwy

( « Walter Benjamin, précurseur de l’écosocialisme », Cahiers d’histoire. Revue d’histoire critique [En ligne], 130 | 2016, mis en ligne le 01 janvier 2016, consulté le 19 avril 2017. URL : http://chrhc.revues.org/4909)

“Già nel 1928, nel libro Senso unico, Walter Benjamin denuncia l’idea la dominazione della natura come un discorso “imperialista” e propone una nuova concezione della tecnica come “padronanza delle relazioni tra la natura e l’umanità”. Come nei suoi scritti degli anni ‘30, di cui parleremo in segito, Benjamin si riferisce alle pratiche delle culture pre-moderne per criticare la “cupidigia” distruttrice della società borghese nel suo rapporto con la natura: “Le più vecchie usanze dei popoli sembrano indirizzarci un avvertimento: guardiamoci dai gesti di cupidigia quando si tratta di accettare ciò che noi riceviamo così abbondantemente dalla natura”. Bisognerebbe “mostrare un profondo rispetto” per la “terra che ci nutre”; se un giorno “la società, sotto l’effetto della disperazione e e della cupidigia, è snaturato al punto di non ricevere che attraverso il furto i doni della natura, […] il suo suolo si impoverirà e la terra darà dei cattivi raccolti”. Sembrerebbe che quel giorno sia arrivato….

In quest’opera si trova anche, sotto il titolo ”Avvisatore di incendi”, una premonizione storica delle minacce del progresso, intimamente associate allo sviluppo tecnologico imposto dal capitale: se il rovesciamento della borghesia da parte del proletariato “non è compiuta prima di un momento presso che calcolabile dell’evoluzione tecnica e scientifica (indicato dall’inflazione e dalla guerra chimica), tutto è perduto. Bisogna tagliare la miccia che brucia prima che la scintilla raggiunga la dinamite”.(1) Benjamin si è sbagliato per quanto riguarda l’inflazione, ma non sulla guerra, anche se non poteva prevedere che l’arma “chimica”, cioè i gas letali, non sarebbero stati utilizzati sui campi di battaglia, come durante la Prima Guerra mondiale, ma per lo sterminio industriale di ebrei e zigani. Contrariamente al marxismo evoluzionista volgare, Benjamin non concepisce la rivoluzione come come il risultato naturale o inevitabile del progresso economico e tecnico (o della contraddizione tra forze e rapporti di produzione), ma come l’interruzione di una evoluzione storica che conduce alla catastrofe. L’allegoria della rivoluzione come “freno d’emergenza” si trova già suggerita in questo passaggio.

E’ perché percepisce questo pericolo catastrofico che Benjamin, nel suo articolo sul surrealismo del 1929, se definisce pessimista, un pessimismo rivoluzionario che non ha niente a che vedere con la rassegnazione fatalista, e ancor meno con il Kulturpessimismus tedesco, conservatore, reazionario e prefascista (Carl Schmitt, Oswald Spengler, Moelle Van der Bruck): il pessimismo è qui al servizio dell’emancipazione delle classi oppresse. La sua preoccupazione non è il “declino” delle élite, o della nazione, m la minaccia che fa pesare sull’umanità il progresso tecnico ed economico promosso dal capitalismo. La filosofia pessimista della storia di Benjamin, in questo saggio del 1929, si manifesta in maniera particolarmente acuta nella sua visione dell’avvenire europeo:

Pessimismo su tutta la linea. Sì, certo, e totalmente. Sfiducia nel destino della letteratura, sfiducia nel destino della libertà, sfiducia nel destino dell’uomo europeo, ma soprattutto tre volte sfiducia di fronte a tutti gli accomodamenti: tra le classi, tra i popoli, tra gli individui. E fiducia illimitata solo nella I.G.Farben e nel perfezionamento pacifico della Luftwaffe”. (2)

Il lasciapassare esibito da Benjamin alla frontiera spagnola

Questo sguardo lucido e critico permette a Benjamin di accorgersi – intuitivamente ma con un notevole acume – le catastrofi che attendevano l’Europa, perfettamente riassunte dalla frase ironica sulla “fiducia illimitata”. Intendiamoci, neanche lui, il più pessimista di tutti, poteva prevedere le distruzioni che la Luftwaffe avrebbe inflitto alle città e alle popolazioni civili europee; e ancor meno poteva immaginare che la I.G. Farben, solo una dozzina di anni dopo, sarebbe diventata famosa per la fabbricazione del gas Zyklon B utilizzato per “razionalizzare” il genocidio, né che le sue fabbriche avrebbero impiegato, a centinaia di migliaia, la manodopera dei campi di concentramento. Nonostante questo, unico tra i pensatori e i dirigenti marxisti di quegli anni, Benjamin ha avuto la premonizione dei mostruosi disastri che potevano nascere dalla civiltà industriale/borghese in crisi.

Se Benjamin rigetta la dottrina del progresso inevitabile, non propone comunque un’alternativa radicale al disastro imminente: l’utopia rivoluzionaria. Le utopie, i sogni di un futuro differente, nascono – scrisse in Parigi, capitale del XIX° secolo (1935) – in associazione intima con degli elementi venuti da una storia arcaica (Urgeschichte), “vale a dire una società senza classi” primitiva. Depositate nell’inconscio collettivo, queste esperienze del passato, “in rapporto reciproco col nuovo, fanno nascere l’utopia”. (3)

Nel suo saggio del 1935 su Bachofen, antropologo svizzero del XIX° secolo conosciuto per le sue ricerche sul matriarcato, Benjamin sviluppa in maniera più concreta questo riferimento alla preistoria. Se l’opera di Bachofen ha tanto affascinato i marxisti come Frederic Engels, e gli anarchici come Elisée Reclus, è per la sua “evocazione di una società comunista all’alba della storia”, una società senza classi, democratica ed egualitaria, con delle forme di comunismo primitivo che significavano un varo “capovolgimento del concetto di autorità”. (4)

Le società anarchiche sono anch’esse di una più grande armonia tra gli esseri umani e la natura. In Passagenwerk, suo libro incompiuto sui passaggi parigini, egli si oppone nuovamente, nella forma più energica, alle pratiche di “dominio” e “sfruttamento” della natura da parte delle società moderne. Egli rende ancora una volta omaggio a Bachofen per aver mostrato che la “concezione assassina (mörderisch) dello sfruttamento della natura”, concezione capitalista/moderna predominante a partire dal XIX° secolo, non esisteva nelle società matriarcali del passato, in cui la natura era percepita come una “madre generosa(schenkenden Mutter). (5)

Non si tratta per Benjamin – né, d’altra parte, per Engels o Elisée Reclus – di tornare al passato preistorico, ma di proporre la prospettiva di una nuova armonia tra la società e l’ambiente naturale. Il pensatore che incarna ai suoi occhi questa promessa di una riconciliazione futura con la natura è il socialista utopico Charles Fourier. Non è che in una società socialista, nella quale la produzione cesserà di essere fondata sullo sfruttamento del lavoro umano, che “il lavoro perderà il suo carattere di sfruttamento della natura da parte dell’uomo”. Esso seguirà allora il modello del gioco infantile, che è per Fourier alla base del “lavoro appassionato” degli “armoniosi” […] Un simile lavoro, svolto nello spirito del gioco, non porta la produzione di valori ma il miglioramento della natura. […] Una terra coltivata secondo questa immagine […] sarebbe un luogo dove l’azione è sorella del sogno”. (6)

Nelle Tesi sul concetto di storia, il suo testamento filosofico, redatto nel 1940, Benjamin torna ancora una volta a Fourier, quest’utopista visionario che sognava di £una forma di lavoro che, lontana dallo sfruttare la natura, (sia) in grado di partorire creazioni virtuali che sonnecchiano nel suo seno”, sogni la cui espressione poetica risiede nelle sue “fantastiche immaginazioni”, di fatto piene di un “sorprendente buon senso”. Questo non vuol dire che l’autore delle Tesi voglia rimpiazzare il marxismo col socialismo utopico: egli considera Fourier come un complemento a Marx, e nella stessa Tesi XI, si tratta della discordanza tra le osservazioni di Marx sulla natura del lavoro e il conformismo del programma socialdemocratico di Gotha. Per il positivismo socialdemocratico, rappresentato da quel programma, così come dagli scritti dell’ideologo Joseph Dietzgen, “il lavoro mira allo sfruttamento della natura, sfruttamento che viene opposto con spensierata soddisfazione a quella del proletariato”. Si tratta, in questo genere di di ideologia, di un “approccio alla natura che rompe sinistramente con le utopie di prima del 1848”, un evidente riferimento a Fourier. Peggio ancora, per il suo culto del progresso tecnico, e il suo disprezzo della natura, “ offerta gratis” secondo Dietzgen, questo discorso positivista “presenta già i tratti tecnocratici che si troveranno più tardi nel fascismo”. (7)

Nelle Tesi del 1940 troviamo una “corrispondenza” – nel senso che Baudelaire da a questo termine nel suo poema Le corrispondenze – tra teologia e politica: tra il paradiso perduto da cui ci allontana la tempesta che chiamiamo “progresso” e la società senza classi nell’alba della storia, così che tra l’era messianica del futuro e la nuova società senza classi del socialismo. Come interrompere la catastrofe permanente, l’accumularsi di rovine “fino al cielo”, che risulta dal “progresso (Tesi IX) ?. Ancora una volta, la risposta di Benjamin è ad un tempo religiosa e profana: è compito del Messia, il cui “corrispettivo” profano altro non è che la rivoluzione. L’interruzione messianica/rivoluzionaria del progresso, è di conseguenza la risposta di Benjamin alle minacce che fanno pesare aull’umanità la continuazione della tempesta malefica e l’imminenza di nuove catastrofi. Siamo nel 1940, a qualche mese dall’avvio della “soluzione finale”.

Nelle Tesi sul concetto di storia, Benjamin si riferisce spesso a Marx, ma su un punto importante prende un distacco critico nei confronti dell’autore del Capitale: “Marx ha detto che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia mondiale. E’ possibile che le cose stiano diversamente. Può essere che le rivoluzioni siano l’atto col quale l’umanità che viaggia sul treno tiri il freno d’emergenza”. (8) Implicitamente, l’immagine suggerisce che se l’umanità permette al treno di seguire il suo cammino – già tracciato dalla struttura d’acciaio dei binari – e che niente ne trattiene il suo progredire, noi ci precipiteremo direttamente nel disastro, o nell’abisso”.

Tuttavia, lo stesso Walter Benjamin, il più pessimista dei marxisti, non poteva prevedere a quale punto il processo di sfruttamento e di dominio capitalista della natura – e la sua copia burocratica nei paesi dell’Est prima della caduta del Muro – condurrà a conseguenze disastrose per l’insieme della natura.

Noi assistiamo, in questo inizio di XX° secolo, a un “progresso” sempre più rapido del treno della civilizzazione capitalista verso un abisso che si chiama catastrofe ecologica, e che ha nel cambiamento climatico la sua espressione più drammatica. E’ importante prendere in considerazione l’accelerazione crescente del treno, la velocità vertiginosa con la quale si avvicina al disastro. Difatti, la catastrofe è già cominciata, e noi ci troviamo in una corsa contro il tempo per tentare di impedire, contenere, arrestare questa fuga in avanti, il cui risultato sarà l’aumento della temperatura del pianeta, con come conseguenza (tra le altre) la desertificazione di territori immensi, l’aumento del livello del mare, la scomparsa sotto l’oceano di grandi città marittime: Venezia, Amsterdam, Hong-Kong, Rio de Janeiro.

Una rivoluzione è necessaria, scriveva Benjamin, per frenare questa corsa. Ban-Ki-Moon, segretario generale dell’ONU, che non ha niente del rivoluzionario, emetteva recentemente (Le Monde del 5 settembre 2009) la seguente diagnosi: “Noi – questo “noi” si riferisce senza dubbio ai governi del pianeta – abbiamo il piede incollato sull’acceleratore e precipitiamo verso l’abisso”.

Walter Benjamin definiva come una “tempesta” il progresso distruttivo che accumula le catastrofi. La stessa parola, “tempesta”, appare nel titolo, che sembra ispirato da Benjamin, dell’ultimo libro di James Hansen, il climatologo della NASA negli Stati Uniti e uno dei più grandi specialisti del cambiamento climatico nel mondo.

James Hansen arrestato nel corso di manifestazioni di protesta davanti alla Casa Bianca contro la costruzione della pipeline in Dakota

Il libro, pubblicato nel 2009, si intitola “La tempesta dei miei nipoti. verità a proposito dell’imminente catastrofe climatica e la nostra ultima possibilità di salvare l’umanità”  (Storms of my grand children. The truth about the coming climate catastrophe and our last chance to save humanity – New York, Bloomsbury, 2009). Neanche Hansen è un rivoluzionario, ma la sua analisidella “tempesta” – che per lui, come per Benjamin, è l’immagine di qualcosa di ben più minaccioso – è di una lucidità impressionante.

Abbiamo poco da aspettarci dai governi del pianeta, con qualche rara eccezione. La sola speranza risiede nei movimenti sociali reali. Tra questi, uno dei più importanti oggi è quello delle comunità indigene, soprattutto in America latina. Dopo lo scacco della conferenza delle Nazioni unite a Copenhagen, il presidente Evo Morales – che aveva solidarizzato con le proteste di piazza nella capitale danese – ha riunito nel 2010 a Cochabamba, in Bolivia, la Conferenza internazionale dei popoli contro il cambiamento climatico e in difesa della Pachamama, la “Madre Terra”. Le risoluzioni adottate a Cochabamba corrispondono, quasi parola per parola, alle argomentazioni di Benjamin riguardo al trattamento criminale della natura da parte della civiltà occidentale capitalista, mentre le comunità tradizionali la considerano una “madre generosa”.

Walter Benjamin è stato un propheta, cioè non qualcuno che pretende di vedere il futuro, come l’oracolo greco, ma nel senso dell’Antico Testamento: colui che attira l’attenzione del popolo sulle minacce future. Le sue previsioni sono al condizionale: ecco cosa succederà, a meno che… salvo se… Nessun fatalismo: l’avvenire resta aperto. Come afferma la Tesi XVIII sul concetto di storia, ogni secondo è la porta stretta dalla quale può venire la salvezza.

L’umanità riuscirà a tirare i ”freni” rivoluzionari? Ogni generazione, scrive Benjamin nelle Tesi del 1940, ha ricevuto una debole “forza messianica”: anche la nostra. Se non l’utilizziamo “prima di un momento quasi calcolabile dell’evoluzione economica e sociale, tutto sarà perduto” – per parafrasare la forlula dell’”avvisatore di incendio” di Benjamin del 1928.

In seno ai movimenti di resistenza alla distruzione capitalista della natura si sviluppa, in Europa, in America latina, negli Stati Uniti, una prospettiva radicalmente anti-capitalista, l’aspirazione ad una alternativa radicale, fondata sui valori della solidarietà, di rispetto dell’ambiente e di autogestione democratica: l’eco-socialismo. Associando la critica marxista del capitale e la critica ecologica del produttivismo, l’eco-socialismo è una proposta eterodossa che implica la trasformazione rivoluzionaria, non solo dei rapporti di produzione, ma anche dell’apparato produttivo stesso – cominciando dalle sue fonti di energia – del modello di consumo, delle forme di trasporto e di abitare. La posta in gioco non è “correggere” gli eccessi del sistema, ma di lottare per un altro paradigma di civiltà, agli antipodi di quello asato sull’accumulazione del capitale e il feticismo della merce. I pensiero di Walter Benjamin ci fornisce degli strumenti preziosi per questa lotta.

Note

1) Walter Benjamin, Sens Unique, Paris, Lettres Nouvelles/Maurice Nadeau, 1978, p. 172-173, 205-206 et 242.

2) Walter Benjamin, « Le surréalisme, dernier instantané de l’intelligentsia européenne », Œuvres, II, Paris, Gallimard, 2000, p. 132.

3) Walter Benjamin, « Paris, die Hauptstadt des XIX. Jahrhunderts », 1935, Gesammelte Schriften (GS), Frankfurt/Main, Suhrkamp Verlag, 1977, V, 1, p. 47.

4) Walter Benjamin, « Johan Jakob Bachofen », 1935, GS, II, 1, p. 220-230.

5) Walter Benjamin, « Das Passagen-Werk », GS, VI, 1, p. 456.

6) Walter Benjamin, Paris, Capitale du xixe siècle. Le Livre des Passages, Paris, Éditions du Cerf, 2000, p. 376-377.

7) Walter Benjamin, « Sur le concept d’histoire », Œuvres, III, Paris, Gallimard, 2000, p. 436. Come sappiamo, Walter Benjamin, fermato a Port-Bou, al confine spagnolo e ha minacciato di essere consegnato alla Gestapo dalla polizia franchista, ha scelto il suicidio (agosto 1940).

8) Walter Benjamin, GS, I, 3, p. 1232. È una delle note preparatorie delle tesi, che non compaiono nella versione finale del documento. Il passaggio di Marx di cui a Benjamin appaiono in classe in Francia lotte (1850): “Die Revolutionen sind die locomotive der Geschichte” (la parola “globale” non è nel testo di Marx).

 

 

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