“Diritto alla sessualità delle persone ristrette: non solo una questione di umanità”

L’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, è considerata da molteplici fonti la più antica università del mondo tuttora in funzione. “Nonostante i primi statuti universitari risalgano al 1317, data della prima edizione nota dello statuto dell’Università dei Giuristi – racconta Wikipedia – già all’XI secolo risalirebbe lo Studium, una fiorente scuola giuridica. Nel 1888, una commissione presieduta da Giosuè Carducci fissò convenzionalmente l’anno di fondazione al 1088 accogliendo le ipotesi di alcuni storici; il fondatore viene considerato Irnerio, morto presumibilmente dopo il 1125.

Mi sembra quindi particolarmente significativo che uno studente di quell’università si sia laureato in diritto penitenziario con una tesi su “Diritto alla sessualità delle persone ristrette: non solo una questione di umanità”.
Lo studente si chiama Alessandro Mele, relatore è stato il, prof. Davide Bertaccini e correlatore il prof. Luca Mezzetti.
Questa è l’introduzione del laureando/laureato, seguita dall’indice della tesi. Il testo integrale potete trovarlo sulla pagina della rassegna stampa del 30 gennaio 2021 di Ristretti.it.

 

La pena detentiva viene spesso espiata da persone che hanno un partner, figli, genitori, fratelli, amici, o che auspicherebbero un cambiamento della propria esistenza anche e soprattutto attraverso la nascita di nuovi rapporti emotivi e sentimentali. Per potersi definire umano, civile e risocializzante, il carcere non può permettersi di soffocare e reprimere tutto ciò che attiene alla sfera affettiva ed emotiva dei ristretti. In particolar modo, non è più ammissibile continuare a operare attraverso un dispositivo proibizionista con riferimento alla loro sessualità. Nonostante sia una questione scarsamente discussa e affrontata dall’opinione pubblica e dalla dottrina specializzata, cercherò di far comprendere nelle pagine che seguono come il tema della privazione sessuale carceraria meriti invece grande rispetto e attenta riflessione.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale argomento sono di duplice natura.
La prima, la più importante, è da collegare al fatto che ho sempre ritenuto che un lavoro di tesi si sarebbe dovuto concentrare su una questione in grado di suscitare dentro di me indignazione, nella speranza – forse illusoria – di poter attivamente partecipare con le mie ricerche e i miei pensieri a un cambiamento che reputo necessario.
La seconda, anch’essa non priva di rilevanza, è invece da attribuire niente meno che alla fortuna. Infatti, è soltanto grazie a un post in cui mi sono casualmente imbattuto su Facebook che mi è venuto da pensare alla problematica della privazione sessuale carceraria. Incuriosito, ho così iniziato ben presto a documentarmi. Mi sono bastate poche settimane per rendermi conto di quanto la bibliografia in merito fosse piuttosto scarna. Spinto dell’entusiasmo, ne ho parlato in famiglia, con amici e colleghi, e per lo più ho ricevuto commenti di incredulità, disagio e disappunto. Eppure, niente è riuscito a scalfire le mie convinzioni. Anzi, più mi accorgevo del disinteresse degli addetti ai lavori e dello stupore dei miei conoscenti, più il mio entusiasmo aumentava.


In tutti questi mesi di lavoro, ho sempre avuto chiaro quale fosse il mio reale obiettivo: cercare di scuotere l’animo di chi vorrà leggere queste pagine, così da sensibilizzare su un tema che – per umanità, civiltà e raziocinio – non può più continuare a essere banalizzato e sottovalutato.

A tale scopo, buona parte del presente lavoro è rivolta a rintracciare e analizzare con approccio sociologico i motivi per cui il carcere dovrebbe aprirsi alla sessualità e ai sentimenti. Partendo dal presupposto che sulla base dell’articolo 27 della Costituzione la pena detentiva dovrebbe essere umana e rieducativa, si osserva come la forzata privazione sessuale neghi entrambi questi due principi. Non è umana una pena che non concede spazio alcuno all’amore e che provoca seri danni all’integrità psicofisica dell’individuo. Invero, come confermato da vari studi empirici che si richiameranno nel corso della trattazione, la privazione sessuale carceraria contribuisce alla proliferazione dei fenomeni dell’omosessualità eteroimposta, dell’autoerotismo compulsivo, degli stupri, delle violenze, delle malattie sessualmente trasmissibili, degli atti di autolesionismo e dei suicidi.
Allo stesso modo, non è rieducativa una pena che conduce al peggioramento della personalità del detenuto e alla disintegrazione dei rapporti che aveva o avrebbe voluto avere con il mondo esterno. Infatti, non è realisticamente pensabile che possa intervenire un percorso di risocializzazione di fronte una persona destrutturata, alienata e privata di qualsiasi supporto significativo dei propri cari. Durante il periodo detentivo, le relazioni familiari e affettive sono fondamentali ai fini dell’effettivo reinserimento sociale, in quanto sono le uniche componenti che, riducendo il senso di abbandono, aiutano a tenere accesa l’aspettativa di una vita futura serena e dignitosa.
Altro aspetto su cui concentro la mia attenzione riguarda le esperienze che in merito sono intercorse in altri Stati, sia europei che non. Per molti di questi, il sesso in carcere non è considerato un’assurdità che porta a uno stravolgimento delle reali funzioni della pena, bensì un diritto riconosciuto ormai da anni con grande naturalezza. Del resto, vari studi hanno dimostrato come la concessione di visite intime comporti netti miglioramenti sulle condizioni di vita dei detenuti, sui rapporti che hanno con i cari all’esterno, sui disordini che avvengono in carcere e sulla probabilità che siano commessi nuovi reati una volta terminata la pena detentiva.

Il tema scatena la morbosità anche dei pennivendoli: questa l’immagine che correda un articolo de Il messaggero del 20 settembre 2016 dal titolo: “Brescia, il carcere diventa hot: poliziotte fanno sesso con i detenuti”

Ancora, mi occupo di valutare come la materia sia trattata dalla normativa nazionale, europea e internazionale, per poi scandagliare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uo mo e della Corte costituzionale italiana: nonostante entrambi questi due organi non abbiano ritenuto sussistente un obbligo in capo allo Stato di permettere lo svolgimento di visite intime all’interno degli istituti penitenziari, più che altro però per ragioni formali che di merito, hanno comunque mostrato il proprio favore verso tale istituto.
Infine, mi soffermo sulle proposte legislative che in questi ultimi anni sono intervenute in Italia. Particolare attenzione è dedicata alla riforma Orlando in cui l’esecutivo, nonostante ne avesse la possibilità, ha emanato cinque decreti nell’autunno del 2018 non disponendo nulla circa la sessualità dei ristretti.

Indice Introduzione……………………………………………………………………………..4

CAPITOLO 1: Sesso in carcere: perché riconoscerlo
1. Dignità umana: valore primario
1.1 Sessualità in carcere: nulla da ridere

2. Tutela integrità psico-fisica del detenuto
2.1. Diminuzione dell’omosessualità eteroimposta e dell’autoerotismo compulsivo;
2.2. Diminuzione degli stupri e delle tensioni
2.3. Diminuzione delle malattie sessualmente trasmissibili
2.4. Diminuzione dei suicidi e degli atti di autolesionismo

3. Miglioramento dei rapporti affettivi
4. L’odio genera odio: fermare la catena conviene anche a noi “liberi”
5. Non era la pena strettamente personale?

CAPITOLO 2: La tutela dell’affettività nella legislazione italiana:
perché non è sufficiente, perché non si cambia
1. La tutela dell’affettività nella Costituzione
2. La tutela dell’affettività nell’ordinamento penitenziario

2.1. La corrispondenza epistolare e telefonica

2.2. I colloqui

2.3  I permessi

2.4. Perché non è sufficiente

3. “Love rooms”: preoccupazioni connesse a un istituto necessario

3.1. Da guardie a… guardoni? No dei sindacati della polizia penitenziaria
3.2. Mancanza di spazi adeguati e di fondi necessari

3.3. Facilitato l’ingresso di oggetti illeciti

3.4. E per chi non ha un partner all’esterno?
3.5. Rischio di svilire la dignità della coppia: evitare la brevità dell’incontro

CAPITOLO 3: L’affettività in altri ordinamenti nazionali
1. La tutela dell’affettività nel mondo: panorama generale

2. L’esperienza in Canada

3.  L’esperienza negli Stati Uniti

4.  L’esperienza in America Latina

5. L’esperienza in Spagna

6. L’esperienza in Francia

CAPITOLO 4: Prospettive di riforma
1. La normativa internazionale

2. La normativa europea

3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

4. La giurisprudenza della Corte costituzionale

5. Le proposte normative in Italia dagli anni ’90 a oggi
Conclusioni

 

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