Celentano (1938) e Jannacci (1935 – 2013), due cantautori milanesi praticamente coetanei, con una visione della vita profondamente diversa

Da qualche tempo ho ripreso a strimpellare la chitarra – suonare è un verbo troppo impegnativo – insieme ad altri due o tre pensionati. Tra le canzoni che ci fa suonare, vabbè mettiamola giù dura, c’è  “Il ragazzo della via Gluck” di Adriano Celentano.

Premetto: a me Celentano non è mai stato simpatico, sin dai tempi del suo Clan – a differenza di Jannacci, forse anche perché lui viene (non riesco a parlarne al passato) dal cabaret –  anche se ha scritto e cantato alcune belle canzoni a  e  queste sono riflessioni semiserie senza pretesa da musicologo.

Il ragazzo della via Gluck – Rileggendone il testo, della serie “come eravamo”, l’ho trovato decisamente deamicisiano, forse anche un pochetto sdolcinato. Ad esempio dove dice: “Questo ragazzo della via Gluck, si divertiva a giocare con me, ma un giorno disse, vado in città, e lo diceva mentre piangeva, io gli domando amico, non sei contento? Vai finalmente a stare in città. Là troverai le cose che non hai avuto qui, potrai lavarti in casa senza andar giù nel cortile! Mio caro amico, disse, qui sono nato, e in questa strada ora lascio il mio cuore. Ma come fai a non capire, è una fortuna, per voi che restate a piedi nudi a giocare nei prati, mentre là in centro io respiro il cemento. Ma verrà un giorno che ritornerò ancora qui e sentirò l’amico treno che fischia così, “wa wa”! ”

Niente a che vedere col grande Enzo Jannacci e la sua “El Me Indiriss“. Che inizia con un parlato: “Non ce l’ho la biro. Non c’ho la biro. Va ben, non c’ho la biro, e allora? No, scusi, eh, lo so anch’io che è duro stare in fila: l’ho fatta anch’io la fila senza la biro. Se ci avevo la biro ce lo dicevo a lei, ce la chiedevo a questo qui? No. E allora? E allora stiamo qui tutta la vita perchè io non c’ho la biro, capito? Ah, grazie. Grazie. A rendere, eh?”.

Siamo su un altro pianeta: un testo divertente e nel contempo ironico e amaro. Poi inizia il cantato (il milanese non è mio ma trovato in rete): “El me’ indiriss de dûe sün nassü mi me le ricordavi gnanca pû: a l’era una câ vecia e per pissà, tripli servissi, sì, ma in mess al prà. El me indiriss de dûe sün nassü me l’han ricordà iér, dentr’in Común: cercavi un docümént de residénsa e mi, m’è vegnü in ment tutta l’infansia… a s’erum una banda de sês fieu; volevum trà per aria tutt’el mund, fasevum la colletta alla mattina per quatter Alfa e dû Espurtasiún. Turnavi a cà la sera, e la mia mamma la me nettava el nas tutt spurch’de sang’ perchè la legge l’era de dài via, ma l’era anca quella de ciapànn!…”.

Qui credo sia meglio una “traduzione”: “Il mio indirizzo, di dove sono nato, non me lo ricordo nemmeno più: era una casa vecchia e per pisciare tripli servizi, sì, ma in mezzo al prato. Il mio indirizzo, di dove sono nato, me l’hanno ricordato ieri, in Comune: stavo richiedendo un certificato di residenza e a me è tornata in mente tutta l’infanzia. Eravamo una banda di sei ragazzi, volevamo buttare in aria tutto il mondo, facevamo la colletta al mattino per quattro Alfa e due Esportazione. Tornavo a casa la sera e mia mamma mi puliva il naso tutto sporco di sangue perché la legge era di darle, ma era anche quella di prenderle….”.

Da Patria indipendente: L’artista che ha dato voce agli emarginati, ai barboni, alle prostitute, ai lavoratori sfruttati, agli immigrati, alle persone sole, ai senza terra. Sempre e comunque da una parte della barricata. Quella giusta

Anche nell’ultima strofa Jannacci riesce a dosare ironia e malinconia: “Pensarci ben, chissà che fine ann fatt chî mé cumpagn balord de sciupà el mund! Ma poeu, la vita va; fa quel che voeur: chi va, chi resta chi, chi invece moeur… Ma énn giàmò passà deu o tri minüt e mi, me rendi cûnt che ò rott i ball: ci ho qui un bel docüment de residénsa… cià via, menare! …e scaricare anca l’infansia!”. (Ma sono già passati due o tre minuti e mi rendo conto che ho rotto le palle: ho qui un bel certificato di residenza… su, via, menare… e scaricare anche l’infanzia.)”.

Parlato conclusivo: “Non ce l’ho la biro. Se l’avessi avuta non sarei stato obbligato a chiederla a questo signore, no? Scusi, lo so che è duro stare in fila. Ma se non avevo la biro! No, qui uno che lavora al tornio, senza la biro è un pirla!”. Impagabile!

Come premesso, queste sono riflessioni senza particolari pretese. E infine un’aggiunta per deludere chi pensasse ad un panegirico, per Jannacci ovviamente.  Celentano e Jannacci hanno spaziato in lungo e in largo  con le loro canzoni, prendendo spunto anche da questioni politico-sociali con risultati mio avviso pessimi, sicuramente discutibili. Ad esempio il diritto di sciopero, Celentano, e il divorzio, Jannacci.

Celentano lo ha fatto a modo suo –  definirlo bacchettone e un po’ ingenuo è eufemistico, più adeguato è reazionario – con “Chi non lavora non fa l’amore“, anche questa del 1970 ma uscita l’anno dopo nell’album “Azzurro”: “Chi non lavora non fa l’amore! Questo mi ha detto ieri mia moglie! A casa stanco ieri ritornai mi son seduto … niente c’éra in tavola. Arrabbiata lei mi grida che ho scioperato due giorni su tre.. Coi soldi che le dò non ce la fa più ed ha deciso che, lei fa Io sciopero contro di me! Chi non lavora non fa l’amore! Allora andai a lavorare mentre eran tutti a scioperare! E un grosso pugno in faccia mi arrivò, andai a piedi alla guardiamedica! C’era Io sciopero anche dei tranvai… Arrivo lì ma il dottore non c’è! È in sciopero anche lui! Che gioco è! Ma? Ma come finirà… C’è il caos nella città. Non so più cosa fàr! Se non sciopero mi picchiano! Se sciopero, mia moglie dice: Chi non lavora non fa l’amore! Dammi l’aumento signor padrone Cosi vedrai che in casa tua e in ogni casa entra l’amore”.

Jannacci  lo fa con “Mexico e nuvole”, brano contenuto nell’album “La mia gente” del 1970, anno in cui entrava in vigore la legge sul divorzio. Ecco qualche passaggio: “”… Mexico e nuvole la faccia triste dell’America il vento insiste con l’armonica, che voglia di piangere ho. Chi lo sa come fa quella gente che va fin la’ a pronunciare sì… mah! Mentre sa che è già provvisorio l’amore che c’è sì ma forse no… ah! Queste son situazioni di contrabbandoa me non sembra giusto neanche in Mexico, ma perchè?…”. E anche: “… Queste son situazioni di contrabbando tutto si può inventare ma non un matrimonio non si può più….”

Adriano Celentano, buon per lui, è ancora tra noi, mentre a me manca molto Enzo Jannacci.

Voglio ricordarlo con due canzoni e il celebre La televisione in cui viene fuori di prepotenza il cabarettista.

Jannacci Arrenditi: (parlato) Jannacci, arrenditi ! Sei circondato ! Vieni fuori, c’è qui anche tua madre, non fare pazzie… Jannacci, vieni fuori dall’edificio e rientra nel sistema ! Se vieni fuori con le mani alzate evitiamo un inutile spargimento di sangue. Jannacci, non abbiamo neanche il tuo gruppo… Jannacci, vieni fuori che per adesso non ti facciamo niente: se vieni fuori ti promettiamo che ti mettiamo una pietra sopra. Jannacci arrenditi, ci sono 10.000 dollari di taglia, possiamo fare meta per uno, è d’accordo anche il tuo avvocato, è d’accordo anche tua sorella. Jannacci, guarda che conto fino a 5 e poi faccio partire la sigla… Jannacci, sta per scadere il noleggio del megafono. Tua madre vuole parlarti, non si ricorda piu… 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, Jannacci, vieni fuori…

La televisiun  e Quelli che

La televisiun la g’ha na forsa de leun La televisiun la g’ha paura de nisun La televisiun la t’endormenta cume un cuiun

Quelli che (una delle sue versioni, perché da istrione qual’era la arricchiva ogni volta di nuove trovate)

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