I guerrafondai sempre a caccia di studenti: il caso del Job Meeting di Pisa dello scorso novembre

“Una giornata decisiva per la tua carriera! Giovedì 26 novembre si svolgerà il Job Meeting PISA, l’evento che consente a laureati e laureandi di tutte le aree disciplinari della Toscana e delle regioni limitrofe di incontrare aziende e business school italiane e internazionali presso stand appositamente allestiti e nel corso di workshop di approfondimento.

Ma non solo! Job Meeting eXperience, correzione CV, contest e gaming, test per scoprire le tue soft skill e molto altro…
L’accesso è gratuito con registrazione obbligatoria.”

Questa la presentazione istituzionale. Questo invece il titolo dell’articolo di “Romperelerighe” – “Pisa: ‘L’università è neutrale?’ – Contestazione al Job Meeting” – che denuncia la partecipazione di numerose aziende particolarmente attive sul fronte dello sfruttamento di umani ed ecosistemi, del controllo tecnologico e del riarmo. E questo il testo del documento che contesta il Job Meeting:

“L’università è neutrale?

Il 28 Novembre, alla stazione Leopolda, si terrà il Job Meeting: una “fiera” che ha tra gli organizzatori anche l’Università di Pisa, in cui i neolaureati potranno entrare in contatto col mondo del lavoro incontrando numerosi esponenti di diverse aziende a cui potranno consegnare il proprio curriculum nella speranza di essere ritenuti degni di un impiego.

 Ma quali sono le aziende ospiti del Job Meeting? Si tratta di colossi dell’industria (tra cui quelle del settore bellico occupano uno spazio considerevole), istituti di credito, compagnie che offrono servizi di management, agenzie interinali e molto altro ancora.

Ansa: “Occupati da decine di attivisti gli uffici della Leonardo di Capodichino, Napoli 24 ottobre 2019. La protesta è “contro la vendita di armi e attrezzature militari da parte di un’azienda di stato italiana allo stato imperialista turco”.

Solo per citare gli esempi più eloquenti tra le diverse aziende presenti compaiono agenzie interinali come Randstad, responsabile dello sfruttamento e della precarizzazione dei lavoratori con la sua azione di caporalato 2.0, l’industria di armamenti Leonardo S.p.A. che qui a Pisa costruisce pezzi per elicotteri da guerra, a Livorno parti di siluri e che rifornisce lo Stato fascista turco, PwC che opera nel campo degli strumenti tecnologici per il controllo sociale e le smart cities, Accenture che in collaborazione con UNHCR produce sistemi per il riconoscimento biometrico dei migranti e infine Piaggio che solo due mesi fa non si è fatta problemi a licenziare 50 operai a Pontedera, a pochi chilometri da qui.

Organizzando questa manifestazione, UniPi si toglie la maschera e si mostra per ciò che è realmente: sebbene la retorica dominante descriva il mondo accademico come il “tempio del sapere”, come un luogo separato e neutro non influenzabile dal contesto storico-sociale dove poter studiare e formarsi liberamente al riparo dal mondo esterno, l’università, come ogni altra istituzione, è un tassello del sistema capitalistico e in quanto tale ha il compito di produrre saperi e figure professionali necessarie al corretto ed efficiente funzionamento di un mondo che si fonda su sfruttamento, guerra e controllo sociale.

Questa situazione non è una novità ma il processo di aziendalizzazione dell’università ne ha sicuramente amplificato la portata: a seguito delle politiche di privatizzazione portate avanti negli ultimi 25 anni da tutti i governi, indipendentemente dalla fazione politica, esponenti di industrie e aziende hanno un posto assicurato negli organi decisionali degli atenei potendo così direttamente indirizzare la didattica e la ricerca per i loro scopi.

Eventi come il Job Meeting o il Career Day sono momenti in cui l’università-azienda mette sul mercato i suoi “prodotti” che finiranno per ingrossare le fila di precari e sfruttati, condizione cui erano stati già abituati con i numerosi tirocini non pagati promossi dai vari atenei.

 Dato che abbiamo visto gran parte dei progetti di ricerca e dei corsi universitari per vedere la luce deve attirare fondi privati o pubblici e per fare ciò, naturalmente, deve produrre saperi, tecnologie o figure impiegabili da aziende o enti pubblici. In un mondo che, come abbiamo detto, si basa su una violenza strutturale dall’alto, questo significa produrre strumenti e saperi che non sono neutrali, ma, al contrario, sono complici di tale violenza.

Non è dunque un caso che all’università di Pisa ci sia un laboratorio specializzato in sistemi radar e telecomunicazioni in cui vengono portati avanti progetti di ricerca insieme al Ministero della Difesa e alla NATO come Lab RaSS o borse di studio per dottorati nell’ambito dell’ingegneria aerospaziale e delle telecomunicazioni finanziate da Ingegneria dei Sistemi S.p.A. (azienda che collabora con il Ministero della Difesa).

Sebbene le intersezioni fra mondo accademico e militare risultino più evidenti ed esplicite nell’ambito  scientifico ciò non significa che i dipartimenti umanistici non siano invischiati col sistema bellico. Spesso il sapere umanistico-sociale ha il compito di  normalizzare e giustificare la guerra tramite la produzione di teorie che cercano di nasconderne il vero volto definendo le operazioni militari come operazioni di peace keeping  (mantenimento della pace)  o di state building, insomma “la libertà è schiavitù, la guerra è pace, l’ignoranza è forza”!

Sempre per attenerci al caso pisano possiamo notare che all’interno del dipartimento di Civiltà e forme del sapere di UniPi figuri il corso di laurea magistrale in Scienze per la pace: trasformazione dei conflitti e cooperazione allo sviluppo che ha tra i suoi sbocchi lavorativi quello di funzionario per la soluzione pacifica dei conflitti che agisce anche nell’ambito del peace-keeping. Dunque una delle “meravigliose opportunità” che l’Ateneo ci offre è quella di spendere le nostre conoscenze in ambito politologico e antropologico agendo da mediatori fra militari e popolazione rendendo più efficace e meno problematica la presenza degli eserciti degli stati imperialisti nelle proprie colonie. Ci sentiamo di affermare che se l’Università è un tempio lo è nel senso che, come ci insegna la storia, è proprio dai templi che nascono le parole d’ordine e partono i crociati per la guerra santa.

Crediamo che, come studenti, un primo passo per affrontare la contraddizione che ci vede parte integrante dell’istituzione universitaria sia quello di diradare la cortina di fumo dell’ideologia della neutralità accademica. Ciò si può fare solo comprendendo che, nonostante ci venga descritta come un’era post-ideologica, la nostra è un’epoca dove l’ideologia dominante è onnipresente. Diviene a questo punto necessario approcciarci in maniera critica ai saperi che ci vengono impartiti, negandone alcuni e strappandone altri senza tuttavia renderli oggetto di uno studio meramente accademico e “musealizzante”. Ma ciò non basta: presa coscienza della situazione, bisogna bloccare gli ingranaggi della macchina bellica che sono vicino a noi prendendo spunto dai portuali marsigliesi, genovesi e di  Le Havre che da maggio di quest’anno lottano con scioperi e picchetti contro la compagnia saudita Bahri e il suo carico di armi.

Una prima occasione per fare ciò potrebbe essere rovinare il tappeto rosso che l’università stenderà ai piedi delle aziende sfruttatrici e guerrafondaie in visita il 28 novembre alla Leopolda per il job meeting.

Antimilitaristi/e, Aula R e Garage Anarchico”

 

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