Ho conosciuto Pietro Valpreda quando veniva in via Solferino al “Corrierone” (ma io ero tra i “parenti poveri” della Gazzetta) a vendere i libri di Einaudi, in particolare “La storia d’Italia”, opera che mi affrettai ad acquistare pur sapendo che l’avvento dei computer avrebbe inesorabilmente relegato le enciclopedie a prendere polvere in qualche angolo della libreria.
Lo feci perché sin dall’inizio ero stato uno dei tanti – compagne e compagni, ma non solo – che credevano nella sua innocenza e l’avevano sostenuto durante la sua lunga e drammatica vicenda processuale, e l’ingiusta detenzione, conclusasi con l’assoluzione “per insufficienza di prove” e non perché innocente. La matrice fascista, ovviamente, tardò ad affermarsi grazie alla copertura dei servizi segreti della Repubblica italiana, che a qualcuno piace definire “deviati”.
Il rapporto con Pietro fu da subito da compagni ed amici, così che uscendo da via Solferino, passavo spesso dal baretto che aveva aperto con la moglie, Pia, non lontano da lì, in corso Garibaldi.
Per i media Pino Pinelli divenne l’anarchico buono, ferroviere e padre di famiglia, ucciso in questura mentre era nella stanza di Calabresi, il “commissario finestra”, che “stranamente” era fuori stanza proprio mentre Pino veniva defenestrato. Valpreda, al contrario, ebbe, come si suol dire, cattiva stampa.
A proposito della parte “politica” di questo articolo, senza la quale l’articolo non avrebbe senso, segnalo qui l’intervista a Lello Valitutti, anarchico che si trovava in questura la sera dell’uccisione di Pinelli. Questore di allora era Allegra – uno dei tanti fascisti che non persero il loro potere grazie all’ignobile amnistia togliattiana – qui. trovate il racconto dell’episodio in cui Pertini, trovandosi a Milano in qualità di Presidente della Camera, rifiutò di stringere la mano ad Allegra.
Ma veniamo a Pietro Valpreda e le sue poesie.
Una delle più toccanti per me è senz’altro questa, 21 dicembre 1969, dalla sua cella di isolamento:
“LA CANDELA MI BASTERÀ”
Nato a Milano il 29 agosto 1932, da Emilio e Ele Lovati, Pietro dopo aver trascorso la gioventù in un quartiere popolare e aver subito due condanne (una nel 1956 a 4 anni per rapina a mano armata e una nel ’58 per contrabbando) si avvicina all’anarchismo, frequentando saltuariamente gli ambienti libertari milanesi.
Nella sua giovinezza Pietro conobbe l’artista Aldo Uggè, nato a Milano il 21 marzo 1912. e diplomato alla Scuola d’Arte applicata all’industria di Milano e abilitato all’insegnamento del disegno alla Reale Accademia di Brera.
Il fotomontaggio che vedete è stato pubblicato dal Corriere della Sera a corredo dell’ articolo. di tal Gianni Santucci dal titolo che sembra rubato ad un giornale scandalistico: “Le lettere inedite del giovane Pietro Valpreda 15 anni prima di piazza Fontana: «Agli ideali patriottici preferisco le donne».
Ancoradal Corriere: “… L’ultima lettera di Valpreda a Uggè risale alla metà del 1955. Porta il visto della censura. Valpreda è tornato a Milano, ma passando direttamente dall’esercito a San Vittore, scortato da due carabinieri per un mandato relativo a una vecchia tentata rapina. Racconta: «La galera è molto più dura di quello che si creda, uno fuori non se ne convince fino a quando non ci si trova dentro». In carcere tornerà dopo piazza Fontana, e fino al 1972, come «il mostro» incolpato di una bomba che non aveva messo.”.
A questo proposito qui trovate l’intervista di Antonella Schroeder alla Zia di Valpreda, Rachele Torri, pubblicato nel primo numero di A Rivista Anarchica, nel febbraio 1971.
Tutti familiari di Pietro Valpreda subirono denunce e processi per aver sempre ribadito la verità, ovvero che l’anarchico era a casa ammalato e non poteva essere quindi in Piazza Fontana. Quella che segue è dedicata alla madre, Ele Lovati Valpreda.
A mia madre
Madre…non piangere
Asciuga gli occhi
Tu che hai dovuto conoscere e affrontare:
la bava, il sangue, il fiele.
Quando ormai cadevano le foglie
sui viali del tempo
Madre…non soffrire.
Solleva il capo
Ora che hai dovuto comprendere
a prezzo del tuo sale
Chi sono coloro che vollero:
le piramidi e gli altiforni
Le frontiere e gli altari
Le bilance e le serrature
e l’umanità stratificata
Chi siano quelli che dissero…
di far bene a nome di tutte le madri.
Madre… non urlare.
Morsicati le labbra.
Per l’esercito sconfinato di madri
Che videro uscire dal proprio utero,
concime per
Campi di battaglia, officine, miniere, zolle…e
cemento per
Bandiere di cristallo
Toghe di piombo
Sudari mimetici e
Templi del nulla.
Madre…non tremare
Chiudi le tue mani a pugno
Per chi invoca soffrendo, morendo, il tuo nome
sia vestendo una tunica ilota
che una tuta d’amianto
e sale il tuo nome madre:
Dalle barricate della comune
dai monti in cui volò la cucaracia
dalle rosse risaie sino a dove il dolore e lo sfruttamento divenne blues.
Madre…madre
Dammi la tua mano
Non sei tu la prima e altre ne verranno
che del proprio petto ne han dovuto fare una tomba.
Sopra il sangue (cantata)
Sopra il sangue secco – di queste vene
saran cessate – ormai le mie pene.
Dall’oblio e dalla polvere – dove mi trovo
di queste parole – fatene tesoro.
Mi voglio rivolgere – in questa triste circostanza,
a coloro che reggono – la dea con la bilancia.
Sbagliate nel caso mio – a giudicarmi assassino
non sarò certo l’ultimo – e nemmeno il primo.
Nella vostra professione – permettersi di errare
vuol dire una vita – per sempre rovinare.
Basta, pare – un pazzo o un’illusione
per trarre errata – la conclusione.
Prima di emettere e giudicare
vi prego, ogni nulla – di voler vagliare.
Fate che l’accusa – sia limpida e schiacciante
che non solo un fatto – sia determinante.
Perché molte volte – l’unica verità
può essere nascosta – da mille falsità.
Se nella mente – vi sorge un solo sospetto d’innocenza
fate che sia lui – a emetter la sentenza.
Lo scrisse anni or sono – Cesare Beccaria,
meglio cento colpevoli liberi – purché un innocente in galera non sia.
So che soltanto – mi crederete
quando sgorgar dalle vene – il mio sangue vedrete.
Il denaro e la morte – son le poche verità
in cui ancora crede – questa società.
Pietro Valpreda ha voluto dedicare qualche verso – in dialetto milanese – al tassista, alcolizzato, Cornelio Rolandi che dichiarò di averlo portato in piazza Fontana. Dall’articolo de Il Sole 24 Ore, a firma Dario Ceccarelli: “… Valpreda, descritto dai quotidiani come il “mostro”, viene inguaiato da un tassista, Cornelio Rolandi, milanesone di 47 anni. Rolandi, dopo diversi tentennamenti, dice d’averlo riconosciuto: che è lui l’uomo che ha portato alla Banca dell’Agricoltura con una borsa in mano prima dello scoppio. Curioso: che un attentatore per mettere una bomba si faccia accompagnare in taxi.
Il taxista infame
L’è sta una sera
al palass de giustizia,
l’ha ma ruvinà
un taxista.
L’he bastà chel boia
el puntas el dit
per accusam de 16 mort
e de quasi cent ferit.
Mi chel di durmivi
in ca’ de mia sia
a minga ciapà el to taxi
in piazza Beccaria.
Ma lu a insist dur
pes dun tugnin,
le lu…le lu
sun miga cretin.
Chissà spent de lu
che bela ilusiun,
cundanné el terrurista,
intasca un frego de miliun.
E mi a sbat la testa
cuntra i mur de la cela
pensavi al genitur,
a me zia e a mia surela.
Avevan mis la mia famiglia
alla bechina,
come se duveven andà
alla ghigliottina.
Ormai per l’u l’era
interes e puntili,
te pudesse finì ti el taxi
denter al navili.
Me contestaven quest,
me contestaven questalter,
me contestaven fin
de vece per amis el Walter.
Insci ondes
eren touc content
da avè trouvà un pistola
de cundanà un innucent.
Disevan touc
ghe pou religion
par gent cume chel lì
ghe vor la fusilasiun.
Per el taxista l’illusiun
l’era quasi realtà,
intaschi la taglia
e vive come un pascià.
Ormai sun convint
che in sta merda di una società
l’è pus facil cascià bal
che dì la verità.
Altro che giustizia
uguale per tutti,
ricchi e poveri,
potenti e derelitti.
Se te sé ricordet nò
a che ura tè se andà al ces
se te ghe no un testimoni
te rinvien a pruces.
Per sta giustizia sderenada
la testimonianza di parent
l’è cume una parola
scrita vis del vent.
Fa comud a chi cumanda
in cert uccasiun
de dag a via
a l’ultim versiun.
L’è inutil vusà
la propria innocenza
che voz un culpevul
poden minga far senza.
E tegnes a ment boia
che el mal che te fa
se sun minga mi,
un qual d’un te la farà pagà.
Scorpions
Come deciso scorpione,
che prigioniero in cerchio infuocato,
il quale verso di lui si appressa,
evita la lunga agonia,
togliendosi dopo la danza la vita:
vorrei avere sul mio corpo,
un’unghia velenosa,
e dopo una risata
conficcaremela in gola.
Ovunque tu ora sia,
urla la mia innocenza
alle nere ciminiere
ai grigi casamenti di pietra.
Alle mura marmoree che racchiudono
i bianchi teschi dei morti,
urlala forte, affinché i clacson e le sirene
non sommergano la tua voce:
e sussurrala la mia innocenza, invece,
agli anemici fiori sui bordi delle strade
e agli uccelli e alle nubi, che volano in cielo.
La poesia “irriverente” dell’anarchico Valpreda dedicata a Gesù
Cristo
Oh capellone di Galilea.
quando scacciasti i mercanti
dal tempio;
tu diventasti iconoclasta.
Oh capellone di Galilea
le turbe volevano essere salvate
non salvarsi;
tu diventasti avanguardia.
Oh capellone di Galilea
hanno asfaltato il calvario
di isotopi.
di smog e timbri di acciaio.
Oh capellone di Galilea
hanno divelto gli ulivi
per costruire
immensi reticolati di atomi.
Oh capellone di Galilea,
ora il fiele non si beve,
in calici di legno di cedro;
ma si beve coca cola,
in anonimi bicchieri carta.
Per concludere, un breve accenno a Valpreda scrittore. Nei primi anni 2000, collaborò con il giornalista Piero Colaprico alla scrittura dei primi tre romanzi aventi come protagonista il maresciallo Binda, un investigatore onesto e sempre dalla parte delle vittime: Quattro gocce di acqua piovana, La nevicata dell’85 e La primavera dei maimorti. Il quarto libro, L’estate del mundial, è stato scritto quasi interamente da Colaprico, a causa della morte di Valpreda. Valpreda contribuì alla descrizione di luoghi come i bassifondi milanesi in cui Binda si muove con i suoi informatori, del carcere di San Vittore, dei circoli anarchici e della contestazione studentesca.
Per concludere, l’articolo di Paolo Finzi in occasione della morte di Valpreda: “Ciao Peder!
Alfredo Simone