La Francia è sempre stata tirata per i capelli… Difatti, per convincerla, l’Italia si è generosamente accollata una notevole parte di costi non dovuti. Diciamolo con chiarezza: mentre il tunnel di base di 57 km, che con doppia canna diventa di 114 km, si trova per tre quarti in territorio francese e per un quarto in quello italiano, l’Italia si è accollata il costo dei tre quarti dell’opera lasciando solo un quarto della spesa a carico dei francesi. Chapeau! Inoltre in questa infinita diatriba il TAV, ridotto a una linea tra Susa e Saint Jean de Maurienne, è diventato un’arma di distrazione di massa a danno della linea storica, che non è obsoleta e che è stata via via sottoutilizzata molto al di sotto delle sue potenzialità per il calo del transito merci, ed è ormai bloccata dall’agosto del 2023 per la frana che, sul lato francese, ha investito la linea poco oltre Modane. Che il tratto franato non sia stato rimosso e messo in sicurezza, dopo ben 18 mesi, su quella che è un’importante linea internazionale causando ulteriori problemi, in primis ma non solo, all’industria piemontese già colpita duramente dal disimpegno di Stellantis nel settore dell’automotive, è un altro campanello d’allarme che i nostri politici, anzi i nostri politicanti, più al servizio delle lobby che non al servizio dei cittadini e del bene pubblico, stanno gravemente sottovalutando. La messa in sicurezza dell’area franata sul lato francese, che procede con una melina e lentezza d’altri tempi rispetto alle attuali tecnologie e capacità logistiche, non deve essere strumentalizzata per sostenere l’utilità del nuovo traforo ferroviario, che oltretutto è fine a se stesso, ma deve essere recepito come serio campanello d’allarme: si è in presenza di un disimpegno francese su questa storica direttrice commerciale. È una questione da non sottovalutare con le solite fumose dichiarazioni in politichese, perché la Francia ha capacità di programmazione e una ben diversa e concreta visione statale della difesa dei propri interessi industriali e relativi scambi commerciali, rispetto alla storica evanescente linea espressa nella programmazione industriale dai vari governi del nostro Paese.
Tornando alla realtà valsusina, dove siamo ancora alla ricerca di un’identità che possa supplire a quella industriale, smarrita con la chiusura delle fabbriche più importanti, quanto avvenuto a Susa in questi giorni (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/10/10/cera-una-volta-il-west-anzi-in-val-di-susa-ce-ancora/) è grave ma non è che un aperitivo rispetto a quello che accadrà nei prossimi anni. Non c’era alcun bisogno di militarizzare l’area di San Giuliano come una frontiera di guerra, di bloccare la statale, di sgomberare e occupare con la forza un terreno alla vigilia del suo esproprio. L’esproprio avrebbe seguito il suo corso amministrativo come è avvenuto a suo tempo a Chiomonte senza particolari problemi e alcuno scontro. È stata una gratuita prova di forza, una pesante intimidazione per quanto dovrà ancora avvenire nei prossimi anni, per dimostrare che il territorio non appartiene a chi ci vive ma è merce a disposizione del Potere. Il Movimento No Tav, al di là delle mille bugie e della continua criminalizzazione per il “reato di continuare a resistere”, nella sua anima è composto da valsusini e vede una forte partecipazione popolare: non è perfetto e commette anche degli errori, ma ha il merito di aver mantenuto la schiena dritta in difesa del territorio e del bene pubblico, di aver saputo costruire un filo di collegamento tra gli anziani che iniziarono l’opposizione nei primi anni 90 e le nuove generazioni. Si può simpatizzare per lui o averlo in antipatia, ma parlare di violenza No Tav è insopportabile quando è la polizia che sgombera i presidi, tira centinaia di lacrimogeni e molti ad altezza d’uomo, costruisce tre fortini militari sul territorio, e questo dopo decine di anni in cui le amministrazioni locali hanno detto no a questa nuova linea ferroviaria, dopo centinaia di iniziative e marce popolari spesso semplicemente derise. Difendersi tirando piume di galline sarebbe anche divertente ma in questa Valle dominata dal vento è oggettivamente impossibile.
Tornando “all’aperitivo” di questi giorni: si prospettano tempi durissimi per la comunità valsusinaed è tempo di rinsaldare e potenziare la massa critica contro l’opera, perché non si può sottovalutare il disagio di sei anni di chiusura della linea ferroviaria Bussoleno-Susa con studenti e pendolari costretti ad accalcarsi sui bus, non rendersi conto di cosa vorrà dire il traffico e l’inquinamento di migliaia di viaggi dei camion, avanti e indietro tra Susa e Salbertrand per il trasporto del materiale dello scavo o sottovalutare i costi ambientali dell’insulso trasferimento dell’autoporto da Susa a San Didero,
Gli anni a venire non saranno una passeggiata, e il tutto per una inutile linea ferroviaria ad alta velocità tra Susa e Saint Jean de Maurienne, e il miraggio di una improbabile stazione internazionale a fronte di una realtà in cui troppe stazioni ferroviarie dei nostri paesi sono abbandonate al degrado e all’insicurezza.