Da appassionato di ciclismo, sono solito girovagare in rete alla ricerca di notizie interessanti e a volte sono ricompensato da belle scoperte, come in questo caso: la Popolare Ciclistica di Bergamo, uno dei cui slogan è “Blood, Sweat and Beers, Since 2014″, e il loro Manifesto
Prima però, voglio spendere due parole sulle staffette partigiane, donne, giovani e non, ma anche ragazzi il cui apporto alla Resistenza fu estremamente significativo. Lo spunto mi è venuto da un passaggio dell’intervista: “… durante il Covid alcuni di noi si sono offerti come ciclo staffette per portare medicinali o generi di prima necessità a chi aveva bisogno”.
Dal sito ANPI: “Il lavoro di staffetta viene perlopiù svolto a piedi o in bicicletta. Le staffette solitamente non sono armate e quindi si trovano nell’impossibilità materiale di difendersi. Molte sono quelle che pagheranno con le torture e la vita il loro impegno, che tuttavia è indispensabile. Senza le staffette, la guerra partigiana sarebbe stata inattuabile.”
La storia di Gino Bartali, campione del ciclismo e nominato “Giusto tra le nazioni” per quanto fece a favore dei più deboli durante la seconda guerra mondiale, è nota.
Forse meno nota è invece la storia di due ciclisti molto dotati – i fratelli Idro e Irnerio Cervellati – la cui carriera fu stroncata sul nascere dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti in cui trovarono la morte. Con loro fu deportato anche il padre, Carlo, che riuscì a tornare dal lager ma in gravissime condizioni. Qui trovate la loro storia.
E ora, la parola a Fabio Dal Pan che ha intervistato il presidente della Popolare Ciclistica di Bergamo, Daniele Quarenghi.
“LA POPOLARE CICLISTICA, CICLISMO E UTOPIA DAL 2014
La Popolare Ciclistica è una squadra amatoriale di Bergamo, piuttosto conosciuta nell’ambiente ciclistico underground nazionale, ma forse non così tanto in quello – diciamo così – del pedale generalista. In un mondo in cui si parla sempre di più solo di watt, calzini aerodinamici e marginal gains pure nelle granfondo, loro si occupano di un tipo di integrazione che va al di là di quella dei cavi nel telaio.
Quest’anno celebrano il decennale della fondazione e con questa scusa ci siamo fatti raccontare dal primo presidente Daniele Quarenghi com’è nata e cos’è la Popolare Ciclistica. Uno dei primi, e senz’altro uno dei più riusciti, esempi di ciclismo dal basso in Italia.
Daniele, com’è nata l’idea di fondare una squadra così sui generis?
Eravamo un gruppo di 3-4 amici con la passione per la bici, ma allo stesso tempo persone impegnate in politica e nel sociale. Ad un certo punto abbiamo pensato di mettere in piedi una società, e abbiamo scelto la UISP perché aveva già un certo orientamento. All’inizio eravamo in 14 soci. Poi siamo stati ospiti con il nostro stand al festival “Raggio” ad Alzano Lombardo e lì ci siamo fatti conoscere, con il nostro stile di intendere il ciclismo.
Come lo intendete?
Per esempio, un anno abbiamo lanciato una sfida che consisteva nel fare più chilometri possibili sui rulli nella durata di una canzone dei Ramones. Dopo quell’evento molte persone si sono avvicinate a noi e da quei 14 ora siamo più di 100. Il nostro spirito comunque è stato fin dall’inizio questo, coniugare sport, festa, musica punk-rock e un certo impegno sociale.
Non a caso uno dei vostri motti è “Rock all nite, Ride all day”. Nel vostro Manifesto, che invitiamo tutti a leggere, parlate di ciclismo dal basso. Ci spieghi cosa significa?
Il ciclismo dal basso è tante cose. Non abbiamo alcuno sponsor, ci autofinanziamo. Ogni anno organizziamo due eventi gratuiti e ci teniamo che sia così, per dare modo a più persone possibile di partecipare. Poi ciclismo dal basso vuol dire anche che nelle nostre uscite ci si aspetta sempre in cima alle salite, e anche nelle decisioni si cerca di coinvolgere il più possibile tutti, non solo la maggioranza. Non a caso sulle nostre maglie c’è scritto “You’ll never ride alone”.