Il 25 marzo 1957 nasce a Roma la Comunità Economica Europea: la compongono, oltre all’Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Col successivo trattato di Maastricht – 7 febbraio 1992 – assume la denominazione che conosciamo, Unione Europea, che ad oggi conta 28 Paesi membri.
La “civilissima” Bruxelles, capitale del Regno del Belgio, è sede di diverse istituzioni dell’Unione Europea, tra cui la Commissione Europea. Ed è proprio la città che nel 1958, un anno dopo la nascita della CEE, organizzò l’Esposizione Universale con l’ambizioso obiettivo di «precorrere di vent’anni la civiltà futura». Obiettivo che ovviamente non è rappresentato invece dall’immagine qui accanto: una bimba congolese trattata come una scimmia, con tanto di visitatori che le offrivano banane e noccioline
Con la complicità di governi e mass media, la foto della bimba congolese chiusa in un recinto – e come lei almeno 400 altri congolesi – passò sostanzialmente sotto silenzio. Immagine simbolo di quell’evento fu invece il famoso “Atomium”, un’enorme struttura, ideata dall’ingegnere belga André Waterkeyn, rappresentante una molecola di acciaio ingrandita 186 miliardi di volte per celebrare i progressi dell’ingegneria e dell’industria belga dell’acciaio.
Nel suo libro “Uomini nelle Gabbie” il giornalista Viviano Domenici, a lungo responsabile delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, spiega le ragioni della scelta delle grandi Esposizioni Universali per queste turpi esibizioni: “perché i colonizzatori si accorsero di quanto gli zoo umani fossero un veicolo straordinario per convincere la popolazione della loro bontà nel conquistare colonie abitate da popoli strani e malvagi”. Non a caso i paesi fondatori della CEE, con la sola eccezione del Lussemburgo, furono protagonisti della turpe stagione del colonialismo e della devastazione e saccheggio delle ricchezze di quei territori, soprattutto in Africa ma non solo.
Una vicenda ricorrente quando si parla di zoo umani è quella che racconta Raffaele Masto, giornalista da sempre attento a tutto quanto riguarda il continente africano, nel suo blog Buongiorno Africa: “La storia di Ota Benga, un pigmeo nato intorno al 1880 in quello che a quell’epoca era il Congo Belga, è una storia che solo apparentemente è lontana nel tempo. Ed è una storia tutt’altro che rara sebbene la schiavitù e il razzismo, a quei tempi, erano ormai ritenuti un fenomeno del passato che la civile Europa ripudiava.” (Clicca qui per leggere l’articolo completo)
Di Ota Benga parla anche Gian Antonio Stella in un articolo, pubblicato sul sito del Centro Studi e Iniziative di Marineo, in cui scrive: “Un libro affascinante e tremendo. Che ci obbliga a rileggere la nostra storia con una vertigine di sensi di colpa. E magari a dire una preghiera, finalmente, per tanti esseri umani che sono stati traditi. Come il pigmeo «Ota Benga» che nel 1906 attirò l’attenzione del «New York Times» sotto il titolo «Boscimano divide una gabbia con le scimmie dello zoo del Bronx» e dieci anni dopo, una sera che non ce la faceva più, si spogliò nudo tenendo solo il perizoma e cominciò a ballare intorno al fuoco, finché prese una pistola chissà come recuperata e si sparò al cuore.”
Quello che vedete qui sopra è la prima parte di The Human Zoo Science’s Dirty Little Secret, presa da youtube, dove si possono trovare le altre tre parti ed altri filmati.
Ovviamente il business degli zoo umani si è adeguato ai tempi e per evitare polemiche si sono trovate le più svariate argomentazioni e definizioni alternative. Come è il caso dello zoo di Augsburg, in Germania, dove nel 2005, “erano esibite cinque coppie di Pigmei”a cui i turisti lanciavano le consuete noccioline, ma la direttrice dello zoo il tutto come l’ambientazione esotica dello zoo fosse una location adatta a degli indigeni. “Con la disumanizzazione, le vittime perdevano la natura e la dignità di uomini – commenta Domenici – Una tale regressione legittimava qualsiasi forma di violenza, anche la più aberrante”.
Riguardo aIla vicenda di Bruxelles, ma non solo, in rete rete si trovano anche posizioni più “comprensive”; è il caso di “Butac”, un sito dedicato a smascherare le bufale online. In un articolo che sicuramente non è superficiale, ed anzi interessante, pubblica l’immagine che vedete a fianco in cui si spiega che la bimba faceva parte di uno stand dell’Esposizione Universale, confermando però che gli zoo umani non sono una bufala. E’ forse il caso di ricordare quello che scrive Raffaele Masto: “Il Re del Belgio Leopoldo II che aveva trasformato il Congo in un inferno, una immensa fabbrica di una materia prima strategica che a quei tempi era il caucciù, una preziosa resina che doveva rivoluzionare l’industria europea. Proprio perché il caucciù era così prezioso il sovrano del Belgio costringeva le tribù locali a estrarne in grandi quantità e a trasportarle fino al mare per rifornire le industrie europee. Per ottenere questi livelli di produzione intere tribù venivano decimate per “convincere” i superstiti a rispettare i quantitativi richiesti dalle stazioni commerciali che Leopoldo aveva piazzato sulle sponde del fiume Congo“. Impossibile quindi, almeno per me, concordare su quanto scritto, sempre su Butac: “Nel 1958 a Bruxelles era in corso l’esposizione universale, l’EXPO per intenderci, dal 17 aprile al 19 ottobre. I paesi presenti erano molti meno di quelli attuali, ma era comunque una vera esposizione internazionale. Tra i vari padiglioni si era deciso anche di avere una zona dell’esposizione dedicata alla cultura dell’Africa, e si era rappresentato un villaggio del Congo, popolato di abitanti in carne ed ossa. Oggi ci vengono i brividi al raccontarlo, ma quello che tante cronache evitano di spiegarci è che nel 1958 i congolesi che popolavano il villaggio non erano esattamente come le tigri dello zoo. Si trattava di soggetti pagati, che mettevano in scena momenti di vita quotidiana, ma che quando l’EXPO chiudeva erano liberi di circolare per la città“.
Ognuno è ovviamente libero di pensarla come crede. Io penso che se avessero voluto rendere un servizio ai visitatori dell’Esposizione – belgi e non solo – potevano/dovevano proporre la ricostruzione di quella che era la vita in Congo prima e dopo la loro colonizzazione. Rendere note le cifre del saccheggio, i costi in vite umane etc. Ma ovviamente nessuno stato processa se stesso, e noi in Italia lo sappiamo benissimo.
Io, comunque, concordo sicuramente con la conclusione a cui giunge Viviano Domenici: “La frase che bene interpreta l’idea che mi sono fatto dell’umanità scrivendo questo libro? ‘L’umanità è una merda’”.
Il movimento animalista, uso le minuscole solo perché non mi riferisco ad uno in particolare ma a quelli che in tutto il mondo lottano per ridare dignità agli animali, lotta giustamente, tra le altre cose, per la chiusura degli Zoo. Nell’immagine accanto una delle tante iniziative che gli animalisti hanno organizzato in tutt’Italia. Una per tutte, l’iniziativa dell’OIPA “Organizzazione Internazionale Protezione Animali” che ha recentemente ha invitato a inoltrare alle autorità torinesi questo testo:
Gentili Signori, con la presente mi unisco alla protesta del Coordinamento NO ZOO di Torino, chiedendo che nella gestione dell’ex zoo di Parco Michelotti, venga escluso qualsiasi utilizzo di animali vivi, riqualificando il sito in oggetto mediante iniziative didattiche e ludiche rivolte alla conoscenza dell’ambiente fluviale, tutelandolo altresì la dimensione pubblica del parco, affinché rimanga fruibile da tutti i cittadini. Riproporre un modello “zoo” nella veste moderna di “bioparco”, non potrà che veicolare il paradigma dell’animale-oggetto, inteso come forma di intrattenimento, un messaggio altamente diseducativo per le nuove generazioni, ancora di più quando ad assecondare degli scopi puramente commerciali, sono enti pubblici e istituzionali. Distinti saluti.
Poco meno di sessant’anni fa, esattamente nel
Luogo privilegiato per mostrare le proprie conquiste erano proprio le grandi Esposizioni Universali di fine Ottocento “perché i colonizzatori si accorsero quanto gli zoo umani fossero un veicolo straordinario per convincere la popolazione della loro bontà nel conquistare colonie abitate da popoli strani e malvagi”, spiega l’autore.
IL RAZZISMO DEGLI ZOO UMANI – Nel corso della sua storia l’Esposizione universale si è macchiata anche di gravi forme di razzismo, socialmente accettate all’epoca. Il caso più eclatante è quello degli zoo umani: mostre pubbliche di persone provenienti da continenti diversi dall’Europa che venivano rinchiuse in villaggi ricostruiti. Al di là della recinzione, gli europei guardavano i popoli ritenuti primitivi. Una pratica degradante e offensiva, che venne però attuata in diverse Expo o anche nelle cosiddette ‘esposizioni coloniali’.
Zoo umani nel Belgio del 1958
Zoo umani
Zoo umani nelle Esposizioni coloniali
Zoo umani nel Belgio del 1958
Una coppia di sposi. Lei con un ingombrante abito bianco. Sorridenti posano davanti a una bidonville del Sudafrica. Dietro di loro la lamiera del “blocco 8”, quello in cui hanno deciso di alloggiare durante la loro luna di miele. Lo chiamano il “turismo della povertà”. La pubblicità del lussuoso hotel sudafricano in questione reciterebbe: “Ci sono inconvenienti nel vedere una vera bidonville. L’odore, il rischio di furti. Ma noi abbiamo ricreato una finta favelas dove vivere da poveri per qualche giorno, ma senza il rischio di stare con i poveri”. Naturalmente, stiamo parlando dell’unica bidonville al mondo con riscaldamento e connessione wi-fi. Questo è solo uno dei recentissimi esempi di turismo etnico. Un fenomeno scioccante ben raccontato da Viviano Domenici – per venticinque anni responsabile delle pagine scientifiche del Corriere della Sera – nel libro “Uomini nelle gabbie”, edito da Il Saggiatore.
Ma per arrivare a parlare del “turismo della povertà” di oggi, Domenici parte dal raccontare il fenomeno degli “zoo umani”, ovvero quando nei palcoscenici di Europa e States erano esposti come animali abitanti di terre lontane. Pigmei, esquimesi, indios o neri con lance alla mano: persone in gabbia per soddisfare la curiosità dei bianchi colonizzatori. Luogo privilegiato per mostrare le proprie conquiste erano proprio le grandi Esposizioni Universali di fine Ottocento “perché i colonizzatori si accorsero quanto gli zoo umani fossero un veicolo straordinario per convincere la popolazione della loro bontà nel conquistare colonie abitate da popoli strani e malvagi”, spiega l’autore.
Coinvolte tutte le grandi potenze. Francia, Germania, Regno Unito, Svizzera e Italia. Senza dimenticare il ruolo degli Stati Uniti. Zoo umani che hanno avuto il loro apice dal 1875 al 1935. Ma chi potrebbe immaginare che, ancora durante l’Expo del 1958, nella moderna Bruxelles almeno 400 congolesi erano rinchiusi in recinti? Negli stessi anni, la Francia non era da meno riservando loro alcune aree dei suoi giardini biologici. Mentre non più di dieci anni fa, nel 2005, “nello zoo di Augusta erano esibite cinque coppie di Pigmei”. E mentre i turisti erano intenti a lanciare loro noccioline nelle gabbie, la direttrice dello zoo tedesco si difendeva raccontando come l’ambientazione esotica dello zoo fosse una location adatta a degli indigeni. “Con la disumanizzazione, le vittime perdevano la natura e la dignità di uomini – commenta Domenici – Una tale regressione legittimava qualsiasi forma di violenza, anche la più aberrante”.
Ecco quindi esposti in gabbia filippini a cui era lanciata carne di cane come cibo. La “Venere ottentotta”, di nome Sarah Baartman, donna sudafricana che a fine Ottocento è stata sottoposta a ogni tortura per l’interesse “scientifico” di conoscere la forma dei suoi genitali. Un pigmeo esibito tra le sbarre fino al 1906, anno del suo suicidio. Famiglie di esquimesi morte a metà tournée perché non vaccinate. E la lista potrebbe continuare, raccontando i soprusi di una pagina della storia che “Europa e Stati Uniti hanno cercato di insabbiare”, continua Viviano Domenici. Ma non si tratta solo di vergognose pagine di storia confinate nel passato bensì di una pratica che continua ancora oggi. Dall’etno-turismo, che costringe gli Jarawa delle Isole Andamane a ballare in cambio di biscotti, al poorism (il turismo della povertà), con i suoi tour-avventura nelle favelas. La logica è la stessa, solo che oggi, anziché portare i “selvaggi” in mostra in Europa e America, si preferisce portare i turisti in vacanza a vedere villaggi dove varie etnie sono costrette a recitare la parte dei selvaggi. Come succede con le donne-giraffa in Thailandia ma anche i Boscimani o i Pigmei africani. “Chi fa quel tipo di turismo non è in grado di avere consapevolezza che si tratta di pornografia della povertà – conclude l’autore – La frase che bene interpreta l’idea che mi sono fatto dell’umanità scrivendo questo libro? ‘L’umanità è una merda’”.