I riferimenti al carcere, alla vita, alle ansie ad esso legati sono stati cantati in un passaggio di “Porta Romana bella” passato da diversi artisti, tra gli altri Giorgio Gaber, Walter Valdi, Gabriella Ferri e Nanni Svampa:
“… La via San Vittore l’è tutta a sassi
L’ho fatta l’altra sera a pugni e schiaffi
In via dei Filangeri gh’è ‘na campana
‘ogni vòlta che la sòna l’è ona cundana
La via dei Filangeri l’è un gran serraglio
La bestia più feroce l’è il commissario …”
“… O luna che rischiari le quattro mura, rischiara la mia cella che’è tanto scura…”
Dopo la testimonianza di Soledad un articolo che potrà sorprendere: la rassegna stampa di ristretti.it, propone, tra gli altri, un articolo di Alessandra Mussolini – figlia di Romano Mussolini e Maria Scicolone e più volte membro del Parlamento italiano e del Parlamento europeo per vari partiti, dal MSI a Forza Italia.
Il titolo è piuttosto eloquente: “Le carceri sono una vera vergogna, ma non chiamatela più emergenza” e devo ammettere che l’articolo è tutt’altro che banale, anche se ovviamente non escludo che questa dura bordata sia frutto di giochi di Palazzo, anche alla luce delle schermaglie nella maggioranza proprio sul carcere.
Ecco alcuni passaggi particolarmente significativi.
“La politica ignora il dramma negli istituti penitenziari: spendersi per i detenuti non porta voti. Intanto l’odio serpeggia, il riscatto sociale viene dimenticato e dilaga il desiderio della vendetta. L’errore da non commettere quando si parla della situazione delle carceri italiane è quello di fare ricorso al termine “emergenza”. Perché quando lo si fa, e accade molto spesso, si nega la vera natura del problema. Non occorre compulsare un dizionario per capire che ci si riferisce a un’emergenza quando si ha a che fare con una circostanza imprevista. Ebbene, il sovraffollamento degli istituti di pena e le conseguenti condizioni indegne di detenzione non hanno proprio nulla di imprevisto….”.
“… Che c’entra dunque l’odio con le carceri affollate? C’entra, eccome. Perché l’inerzia della politica si fonda su un problema di consenso. Occuparsi delle carceri e delle condizioni dei detenuti, infatti, non fa vincere le elezioni e quindi la gran parte dei politici ritiene che l’argomento non sia centrale. Un grave errore, perché interrompere il circolo vizioso delle recidive è l’unico modo per garantire maggiore sicurezza ai cittadini. E questo sì che farebbe vincere le elezioni. Si pensa però sempre al breve periodo. In termini, ci risiamo, emergenziali. Mettendo toppe, facendo comunicati zeppi di buone intenzioni, per poi rimandare e rimandare ancora. Ma l’odio? Eccolo qui: il dibattito avvelenato da questo sentimento, associato all’insicurezza che i cittadini percepiscono – non solo nelle strade ma anche nelle loro case – genera nei confronti degli autori dei delitti un desiderio che è di pura vendetta e non, come dovrebbe essere, di ferma, severa e civile giustizia. Moltissimi, questo è il punto, non solo vogliono i colpevoli in prigione ma vogliono anche che lì stiano male. Malissimo, il peggio possibile. L’idea che, non so quanto inconsapevolmente, prende corpo è quella che confonde la detenzione con la pena corporale, tale che l’espiazione sia vera e propria sofferenza fisica.”
” La politica (riferiamoci così, in senso generale, a tutti coloro che dovrebbero prendere delle decisioni in merito) è ben consapevole di questo. E anche se non sempre condivide, sceglie di esporsi sul tema il minimo indispensabile. Per questo parlare di carceri come di un’emergenza non è solo un errore, ma anche e soprattutto un atto di viltà.”
Per concludere questo articolo, che inizia con il riferimento musicale a San Vittore, ho “scartato” “Jail House Rock“, cantata da Elvis Presley e ripresa dai mitici Blues Brothers, preferendo optare per “Soledad Hermana” di Alessio Lega e ” Nella mia ora di libertà di Faber.
Alessio Lega: “Questa canzone fu scritta all’indomani della notizia del suicidio di Maria Soledad Rosas, appunto la “Compagna Solitudine”. Ci sono attaccatissimo, ma non la propongo mai, né nei dischi né in concerto perché tocca il fondo di un dolore senza fondo. Quel fondo che fa si che nessun anarchico si senta mai del tutto solo, perché ci sono gli altri anarchici dovunque lui vada ed è pazzesca la solidarietà. Ma per converso quando uno di noi se ne va, la ferita non può rimarginarsi e butta sangue ancora. E poi è forse troppo disperata… e mi rompe fare canzoni sui fatti sociali senza un minimo di speranza.” – Alessio Lega (da Canzoni contro la guerra)
Solitudine compagna
” Solitudine, compagna… In fondo al tuo lenzuolo c’è la nostra disfatta la fine del pensiero, la certezza inutile che ogni nostra rivolta era una frase fatta gridata per confondersi a un universo futile. Solitudine, compagna… In fondo alla tua vita c’è la roccia perduta la cima irraggiungibile, la distanza infinita la nostra vita fatta, quotidiana e fottuta il lavoro, la casa, la tristezza, la vita… Compagna solitudine, noi partiamo in vacanza la tua disperazione conservacela in frigo ce ne occuperemo alla fine del rigo dove nei nostri slogan parliamo di speranza. Solitudine, compagna… In fondo a quest’estate, quando ritorneremo, fatti trovare ancòra come un’àncora rotta ed affondando insieme potrò dirti «Porteremo quest’ odio sociale nella storia corrotta» Solitudine, compagna… La storia ormai è finita e affoga dentro un pozzo se la stanno sbranando questi quattro assassini, l’urto sui nostri volti, la violenza del cozzo ci ha strappato le armi e spezzato i canini. Compagna solitudine qui son tutti colpevoli: la repressione che ci ammazza senza pausa, gli schiavi abbrutiti, il torpore della causa, lo Stato assassino i boia consapevoli. Solitudine, compagna… Però anche noi tutti, compagni troppo stanchi troppo occupati a cercare un domani per difendere l’oggi dai colpi sui fianchi per difenderci oggi, per usare le mani. Solitudine, compagna… Brindavamo alla chiusura del luglio libertario alla nostra sconfitta onorevole e certa questo treno in partenza di cui non so l’ orario e non esce più sangue ma la ferita è aperta. Compagna solitudine, di te posso dire “morta” ma io non sono certo di poter respirare questo paesaggio aspro di continuo dolore questo cielo fumoso, questa luna contorta. Solitudine, compagna… In fondo al tuo lenzuolo c’è la nostra sconfitta la fine del futuro, la perdita d’ orgoglio la rivolta ingabbiata, c’è la morte già scritta c’è la mia speranza impiccatasi in luglio”.
Nella mia ora di libertà”
Alcune note sul Decreto-Legge n. 92 del 4 luglio 2024, recante «Misure urgenti in materia
penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della Giustizia» e
proposte di intervento IMMEDIATO al fine di porre termine alle condizioni drammatiche
delle carceri italiane.
Sono trascorsi circa quattro mesi dall’appello “Sui suicidi in carcere servono interventi urgenti” con cui il Presidente della Repubblica invitava la classe politica del nostro Paese ad adottare, con urgenza, misure immediate per allentare il clima di tensione che si respira nelle carceri italiani, causato principalmente dal sovraffollamento, dalla carenza di personale e dall’inefficienza dell’assistenza sanitaria intramuraria e dalle Circolari del DAP sul trattamento penitenziario.
Con amarezza e grande preoccupazione, il Portavoce e il Coordinamento della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali si trovano a constatare, ancora una volta, la sostanziale indifferenza della politica rispetto all’acuirsi dello stato di sofferenza delle persone detenute, rispetto al peggioramento delle condizioni di vivibilità nelle carceri italiane che, lungi dal consentire “quell’inveramento del volto costituzionale della pena”, continuano a tradire i basilari principi costituzionali, europei e internazionali, su cui regge lo Stato di diritto e a umiliare, quotidianamente, la dignità umana delle persone ristrette.
Nell’inerzia delle Istituzioni, si sta allungando l’elenco delle persone detenute che, da gennaio 2024 ad oggi, si sono tolte la vita: ad oggi, sono 57 le persone suicide di cui uno all’interno del Cpr di Ponte Galeria, a cui è doveroso aggiungere il numero dei 6 agenti di polizia penitenziaria che, nello stesso arco di tempo, pure hanno deciso di togliersi la vita.
Altrettanto preoccupante è l’aumento dei casi di autolesionismo e il dilagare di fenomeni di violenza e
di tortura che si consumano nelle carceri italiani, come testimoniato anche dalle recenti indagini
giudiziarie riguardanti i fatti consumati nel carcere di Reggio Emilia o, ancor più drammaticamente,
l’inchiesta sulle violenze in danno di minori, reclusi presso l’Istituto Penale Minorile Beccaria di Milano.
Così come allarmanti sono i casi di proteste, anche violente, che, in conseguenza delle condizioni di
detenzione che ledono la dignità umana, si stanno registrando in diversi Istituti Italiani, come la protesta
scoppiata a Viterbo il 10 luglio scorso, dopo che un detenuto è stato trovato privo di vita nella sua cella2
o come quanto accaduto l’11 luglio u.s. nell’Istituto di Trieste, come protesta per la mancata previsione
di rimedi per contenere le temperature eccessivamente alte di questo periodo, in un ambiente detentivo
caratterizzato da prolungato sovraffollamento.
Luoghi comuni, etichette e stereotipi impediscono di vedere la reale dimensione del fenomeno.
Non si tratta tanto o solo di comprendere le diverse cause che generano i suicidi in carcere
(sovraffollamento, carenze di organici, fragilità psicologica, strutture fatiscenti), ma di accettare che
sono soprattutto le fasce più deboli ad essere sopraffatte e “schiacciate”.
Lo dicono i numeri: il 64% delle persone che si sono tolte la vita negli ultimi due anni aveva commesso
reati contro il patrimonio; il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione; il 40 % di
suicidi si è consumato oltre i primi sei mesi, con una percentuale elevata nell’ultimo periodo di
detenzione e l’interessamento di molti detenuti senza fissa dimora. Il circuito più interessato dai suicidi
è, non a caso, quello di “media sicurezza”. Le persone con patologie psichiatriche che si sono tolte la
vita sono meno del 10%.
È evidente dunque che i suicidi e gli atti di autolesionismo in carcere coinvolgono persone vulnerabili,
detenuti che hanno commesso reati di bassa o media gravità, alla prima esperienza di detenzione,
ovvero in procinto di essere dimessi, ma senza reti familiari o sociali che possano favorirne il
reinserimento.
Numeri e fatti impressionanti, che richiedono, nell’immediato, l’adozione di soluzioni che rendano le
carceri luoghi davvero rispettosi della dignità umana e vivibili, sia per chi vi è recluso sia per chi ci
lavora.
Cosa che, allo stato, non è, in primis per effetto del preoccupante indice di sovraffollamento che,
ad oggi, è arrivato ad essere pari al 130%.
I detenuti, infatti, ad oggi, sono 61.480 a fronte di una capienza effettiva ammontante a 47.300
posti. Se si analizzano i dati per singoli contesti regionali, si evince poi che ci sono contesti in cui tale
indice è nettamente superiore al 150% (Puglia 169,7%; Basilicata 160,2%; Lombardia 153,5%; Veneto
152,3%).
Sconfortanti sono anche i dati ricavabili da un’analisi, non solo quantitativa, ma qualitativa della
popolazione detentiva italiana. Considerando la posizione giuridica delle persone detenute, appare
sconcertante sapere – come riportato anche dal Garante nazionale nelle sue relazioni – che:
– 41.529 sono le persone che stanno scontando una pena definitiva;
– 7.027 sono le persone che devono scontare meno di un anno di carcere;3
– 21.075 sono infine le persone che stanno scontando un residuo di pena da 0 a 3 anni.
– 19.951 sono le persone la cui condanna non è ancora definitiva, di cui circa 9.500 sono in attesa di
primo giudizio.
Dati allarmanti, conseguenti anche a scelte di politica penale che, in un’ottica puramente
repressiva e securitaria, hanno portato all’introduzione di nuove fattispecie di reato,
all’innalzamento della durata di pene detentive per alcune fattispecie di reato, all’inasprimento
dell’applicazione di misure cautelari, anche per reati di lieve entità.
Il riferimento non è solo al cd. Decreto Caivano, che ha determinato un ulteriore
sovraffollamento degli Istituti minorili e fatto registrare una più cospicua presenza negli
Istituti di pena per adulti dei cd. giovani-adulti.
Il riferimento va anche al DDL recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela
del per- sonale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento” presentato alla Camera
dei Deputati il 22 gennaio 2024, con cui si intende introdurre la nuova fattispecie di reato di rivolta
all’interno di un istituto penitenziario), al fine di punire anche la resistenza passiva all’esecuzione
degli ordini impartiti commessa da tre (o più) persone, prevedendo, come sanzione, una pena
sproporzionatamente elevata ( da 3 a 8 anni di reclusione). Una disposizione analoga è proposta anche
per le proteste che dovessero scoppiare all’interno delle strutture di trattenimento e accoglienza per i
migranti.
La Conferenza nazionale dei Garanti territoriali, dunque, non può che esprimere la propria
preoccupazione per ciò che sta succedendo e per ciò che potrebbe accadere di drammatico nei prossimi
mesi, in un periodo in cui, presso gli Istituti di pena, sono sospese molte attività ricreative, scolastiche,
universitarie e/o di risocializzazione e si riduce la presenza del personale, in ragione del piano ferie.
A fronte di tutto ciò, la Conferenza ritiene che le misure contenute nel recente Decreto Legge
n. 92 del 4 luglio 2024 recante «Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e
penale e di personale del Ministero della Giustizia» – che il Ministro Nordio ha ribadito, con
fierezza, non essere un provvedimento svuotacarceri, ma un provvedimento volto ad
“umanizzare” l’esecuzione della pena detentiva – risultino completamente inadeguate rispetto
alle proporzioni dell’emergenza carceraria.
Premesso che “l’umanizzazione della pena detentiva” è già scritta in Costituzione, ai sensi dell’art. 27 Cost.
– e che tale norma costituzionale attende ancora una piena attuazione – il recente Decreto-Legge
presenta molte criticità.4
La più evidente riguarda la qualità e il carattere della normativa da poco introdotta, la quale non è
immediatamente applicabile e, dunque, non è in grado di rispondere prontamente ad una vera
e propria emergenza.
Inoltre, il Decreto-Legge presenta un contenuto eterogeneo (contiene norme che incidono su
alcune disposizioni del codice civile, che nulla c’entrano con l’esecuzione penale).
Da questo punto di vista, riteniamo che quello esercitato dal Governo con tale Decreto, sia un uso
‘fraudolento’ della decretazione d’urgenza, se non un vero e proprio abuso che colloca il
provvedimento adottato, al di fuori dello schema costituzionale previsto per l’emanazione della
decretazione d’urgenza.
Tale Decreto-Legge, in sostanza, costituirebbe solo una vera e propria “scatola vuota”, non in grado di
porre un argine immediato alle drammatiche condizioni in cui versano gli Istituti di pena italiani.
Ci limitiamo ad una analisi di solo alcuni aspetti, toccati da tale provvedimento governativo.
1. L’aumento del personale … solo della polizia penitenziaria
Come sottolineato recentemente da alcuni Membri del Garante nazionale dei Diritti delle persone
private della libertà personale (Mario Serio, intervista a La Repubblica, 12 luglio 2024) o da alcuni
studiosi della materia, l’investimento del Governo è rivolto unicamente a rafforzare l’area della
sicurezza e dell’ordine – prevendendo solo l’assunzione di 1.000 unità della Polizia penitenziaria
destinataria di una formazione, che verrebbe però ridotta da 6 a 4 mesi – a discapito delle
esigenze dell’area educativa o del trattamento e/o dell’UEPE che, grossomodo in tutta Italia,
lavorano con la metà del personale previsto da pianta organica. Ciò tradisce evidentemente
l’obiettivo del Decreto -Legge, sbandierato dal Ministro Nordio: l’umanizzazione della pena, infatti,
richiederebbe un investimento finanziario più cospicuo volto all’assunzione anche di diversi profili
professionali in grado di intercettare per tempo il disagio psicologico e sociale della popolazione dei
detenuti e in grado di efficacemente favorire il rinserimento sociale degli stessi detenuti.
2. L’ Aumento delle telefonate … da 4 a 6 !
L’aumento dei colloqui telefonici rappresenterebbe l’unica misura apprezzabile di questo
provvedimento normativo, immediatamente attuabile in ogni Istituto penitenziario, e veramente
funzionale rispetto alla necessità di implementare i momenti di cura dell’affettività delle persone
ristrette.
Tuttavia, anche questa necessità risulta essere tradita per i seguenti motivi:5
a) la norma, che prevede l’aumento delle telefonate, non è immediatamente operativa. L’art.
6, comma 1 del decreto-legge rinvia, infatti, all’adozione di un regolamento governativo
che, secondo quanto previsto alla lett. a), equipari la disciplina del “numero” dei colloqui
telefonici settimanali e mensili a quella dei colloqui in presenza, rispettivamente contenuta
negli articoli 39 e 37 del Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario (d.P.R.
230/2000). Il Decreto-Legge invece avrebbe ben potuto disporre tale aumento, essendo esso fonte
normativa primaria de. L’assenza di volontà di rendere immediatamente operativa tale normativa è
dimostrata, poi, dal fatto che il II comma dell’art. 6 stabilisce che, in attesa della modifica
regolamentare, il Direttore dell’Istituto può concedere colloqui telefonici oltre il limite stabilito …
disposizione completamente inutile e ripetitiva di quanto l’ordinamento penitenziario dispone già!;
b) la norma comunque non fa salvo, in via generale, quanto disposto dall’art. 2 quinquies
della Legge n. 70 del 2020 (“Norme in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute”
, che ha
convertito il d.l. 30 aprile 2020, n. 28), il quale stabilisce che il Direttore possa autorizzare una
telefonata aggiuntiva o ‘supplementare’ oltre i limiti stabiliti dal comma2 dell’art. 39 del
Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, in considerazione di motivi di urgenza
o di particolare rilevanza, nonché in caso di trasferimento del detenuto. La stessa norma, stabilisce
il potere del Direttore di autorizzare le telefonate, addirittura una volta al giorno, ove la
corrispondenza telefonica si svolga con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità
grave oppure con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente
o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella
del condannato, qualora gli stessi siano ricoverati presso strutture ospedaliere. Disposizione, oggi,
applicabile anche ai detenuti per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis, co. 1, primo per., ord. penit.,
nei termini specificati dalla Corte costituzionale n. 85 del 2024. Ne consegue che il Decreto-
Legge, non facendo espressamente salva l’applicazione dell’art. 2 quinquies della Legge
n. 70 del 20220, finirebbe per introdurre, paradossalmente, una disciplina delle
conversazioni telefoniche molto più restrittiva e severa rispetto alla disciplina attualmente
vigente!;
c) L’aumento di telefonate da 4 a 6, pur apprezzabile, ci sembra davvero una misera
concessione. E ciò specie se si considerano:
1. i pregressi approdi delle Commissioni (Commissione Giostra e Ruotolo, in particolare) che hanno
condotto una riflessione più complessa sulla realtà carceraria;6
2. la normativa penitenziaria straniera, che prevede la possibilità per le persone ristrette di accedere
quotidianamente ai colloqui telefonici;
3. quanto raccomandato dallo stesso DAP in fase post-pandemica. Con la circolare n. 3696/6146 del
26 settembre 2022, infatti, il DAP offriva precise “indicazioni operative per il prossimo futuro”, sia in
merito al ricorso alle videochiamate, sia in merito alle autorizzazioni alla corrispondenza telefonica,
in relazione alla quale si sottolineava che “è compito delle Direzioni di istituto esercitare la discrezionalità ad
esse attribuite “nel contesto dell’assoluta necessità che dette autorizzazioni vengano accordate in maniera
consapevolmente ampia (ovvero oltre i limiti ordinari stabiliti dai citati articoli 37 e 39, regolamento di
esecuzione), in specie in presenza, oltre che delle situazioni già tipizzate dalle norme richiamate, di difficoltà per i
visitatori a raggiungere gli istituti in ragione delle distanze dal luogo di residenza o di concorrenti impegni lavorativi
o familiari; e sarà Loro compito risolvere, secondo tale prospettiva, le problematiche che possano sorgere in relazione
alle esigenze organizzative delle singole strutture penitenziarie”. Tutto ciò, sottolineava la citata circolare n.
3696/6146, proprio: “in considerazione della già evidenziata funzione fondamentale che
i colloqui e le telefonate assumono sul piano trattamentale, quale modalità di
conservazione delle relazioni sociali e affettive nel corso dell’esecuzione penale e quale
strumento indispensabile per garantire il benessere psicologico delle persone detenute
e internate, al fine di attenuare quel senso di lontananza dalla famiglia e dal mondo delle relazioni affettive che è
alla base delle manifestazioni più acute di disagio psichico, spesso difficilmente gestibili dal Personale degli istituti e
che, non di rado, possono sfociare in eventi drammatici”.
Ci si attendeva, dunque, in conseguenza della centralità che assume in carcere la cura dell’affettività, un
maggior coraggio che portasse il Legislatore ad attuare una vera e propria liberalizzazione dei
colloqui telefonici, specie per i detenuti afferenti al circuito della Media sicurezza, e il superamento
dei limiti temporali – 10 minuti! – a telefonata.
La speranza è che questa forma di liberalizzazione possa essere ancora discussa in sede di
conversione del Decreto-Legge.
Ciò sarebbe e rimane fondamentale, specie se si considera che la maggior parte dei detenuti non è in
grado di avere colloqui visivi con i propri familiari, stante le difficoltà, anche di ordine economico, che
le famiglie incontrano in conseguenza della lontananza dei luoghi di detenzione rispetto al luogo di
residenza/domicilio del nucleo familiare.
A tal proposito, se si esaminano i dati relativi alle condizioni detentive, non si può non
constare che il principio di prossimità dell’esecuzione penale rispetto al luogo di
residenza/domicilio del nucleo familiare risulta, in realtà, completamente disatteso.
3. Il nuovo elenco di strutture residenziali per detenuti7
“Allo scopo di semplificare la procedura di accesso alle misure penali di comunità e agevolare un più efficace reinserimento
delle persone detenute adulte” l’art. 8 del Decreto Legge prevede l’istituzione presso il Ministero di Giustizia
di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale, in grado di
accogliere anche detenuti “che non sono in possesso di un domicilio idoneo e sono in condizioni socio-economiche non
sufficienti per provvedere al proprio sostentamento”.
Si tratta di una misura, che, come le altre, non è immediatamente applicativa, ma necessita
l’adozione di un successivo decreto ministeriale ad hoc.
A tal proposito, vero che l’obiettivo di tale previsione normativa è quello di realizzare strutture, in
grado di fornire non solo servizi di assistenza, ma anche di riqualificazione professionale e
reinserimento socio-lavorativo; tuttavia, per realizzare l’obiettivo che il Governo si è posto, è necessario
il coinvolgimento del privato e, inevitabilmente, anche di altri livelli di governo del territorio (Regioni
ed Enti locali) che finirà per procrastinare nel tempo la realizzazione di tali strutture.
Inoltre, come sostenuto condivisibilmente da parte della Dottrina ( in particolare dal Prof. M. Ruotolo),
il rischio che si intravede in tale normativa, non supportata da una analisi ben precisa dell’impatto di
tale misura, è quella di avviare “una sorta di privatizzazione dell’esecuzione penale, senz’altro contraria all’esigenza
costituzionale di assicurare la natura pubblica della gestione dell’amministrazione della giustizia, che deve comprendere
anche la fase applicativa della pena”.
4. Modifiche all’Istituto della Liberazione anticipata.
L’articolo 5 introduce importanti modifiche all’istituto della liberazione anticipata
Con tale previsione normativa, si stabilisce che ‘il calcolo’ relativo alle detrazioni di pena (che rimane
di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata) alle quali il condannato avrebbe diritto, in caso di
positiva partecipazione all’opera di rieducazione, sia già prevista nell’ordine di esecuzione. Con la
conseguenza che l’emissione di un nuovo ordine di esecuzione sarà richiesta solo in caso di mancata
concessione o di revoca del beneficio.
Ciò rappresenta solo apparentemente una semplificazione, che potrebbe portare a contenere ritardi
nella decisione in merito al calcolo dei semestri via via maturati.
In realtà, il lavoro del magistrato di sorveglianza diventerà più impegnativo, in quanto si prevede che,
in ogni caso, rimane ferma la sua competenza, nell’accertare la sussistenza dei presupposti per la
concessione della liberazione anticipata in occasione di ogni istanza di accesso alle misure alternative
alla detenzione o ad altri benefici analoghi, rispetto ai quali nel computo della misura della pena espiata
è rilevante la liberazione anticipata e ogni volta che i detenuti presentino istanza, fondata su specifici e
ulteriori interessi, che potrà essere presentata a decorrere dal termine di novanta giorni antecedente al8
maturare dei presupposti per l’accesso alle misure alternative alla detenzione o agli altri benefici
analoghi.
Inoltre, ci sembra che tale modifica procedimentale non abbia alcuna valenza deflattiva del
sovraffollamento in cui versano gli Istituti di pena italiani i quali non sono in grado, per ciò
solo, di assicurare alle persone condizioni detentive pienamente rispettose di standard minimi
di tutela della dignità umana, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale italiana e dalla
CEDU.
Ci permettiamo di ricordare che, in data 13 giugno 2024, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa
ha espresso forti preoccupazioni, in sede di monitoraggio dei casi Sy e Citraro, Molino, in merito
all’inadeguatezza delle misure poste in essere dallo Stato italiano per prevenire il rischio suicidario nelle
carceri, legate anche e soprattutto all’elevato tasso di sovraffollamento.
Riteniamo che, innanzitutto, sia doveroso procedere celermente all’approvazione parlamentare di
misure immediatamente deflattive del sovraffollamento, e facilmente applicabili, partendo
dall’unica posposta, al vaglio della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, presentata
dall’On. Giacchetti, quale primo firmatario (AC 552), con cui si intende introdurre l’istituto della
liberazione anticipata speciale, nei termini, grossomodo già sperimentati nel 2013, in conseguenza
della condanna da parte della CEDU nel caso Torreggiani contro Italia.
Tale proposta muove dalla necessità di ampliare la portata dell’istituto della liberazione anticipata,
riconoscendo al detenuto 60 giorni (al posto degli attuali 45) per ogni semestre di buona condotta.
Presupposto per accedere a tale beneficio è che il singolo detenuto abbia osservato una regolare
condotta. Tale misura potrebbe addirittura rappresentare un concreto incentivo per i detenuti a
comportarsi sempre meglio e ad allentare le tensioni tangibili nella quotidianità della vita carceraria.
Affinché tale misura possa produrre effetti veramente deflattivi è necessario che tale beneficio possa
avere applicazione retroattiva al 2016, anche come forma di risarcimento per la peculiare detenzione
subita nel periodo della pandemia Covid-19.
Il Portavoce e il Coordinamento della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali condividono
dunque la proposta di prevedere uno sconto di ulteriori 30 giorni a semestre, per i prossimi due anni,
rispetto a riduzioni già concesse dal 2016 ad oggi (30 + 45).
Così facendo, si avrebbe l’anticipazione del fine pena di 2 mesi, per ogni anno di pena scontata e si
porrebbe immediatamente rimedio alla sofferenza e alla quotidiana violazione della dignità umana che
si consuma in carcere, per effetto del sovraffollamento e, dunque, di un sistema punitivo che non è in
grado, allo stato, di attuare quel necessario ragionevole bilanciamento tra esigenze di sicurezza e tutela9
dei diritti fondamentale dei detenuti, affinché la pena non sia concretamente contraria al senso di
umanità, come stabilisce l’art. 27 della Costituzione.
Anche in tal caso, la speranza è che tale misura possa essere approvata dal Parlamento.
* * *
La Conferenza nazionale dei Garanti territoriali è consapevole che tale misura, da sola, non basta a
migliorare nell’immediato le condizioni di vivibilità delle carceri italiane.
È necessario superare concretamente la visione carcero-centrica del sistema di esecuzione
penale e far sì che la detenzione in carcere sia davvero una extrema ratio , rendendo più snello
e veloce il procedimento volto a garantire l’accesso alle misure alternative ai detenuti che, tra
quei circa 30 mila che stanno scontando una pena o un residuo di pena inferiore ai tre anni, si trovano
nelle condizioni di potervi accedere.
Anche in tal caso, è necessario aumentare l’organico dei diversi UEPE italiani affinché i tempi di
presa in carico e gestione della pratica da parte dei servizi sociali siano più celeri.
Se poi il carcere deve essere un luogo di riscatto, di speranza e di rieducazione, sono necessarie più
risorse per contrastare la povertà sociale, economica e culturale che dilaga specie nella sezioni
della media sicurezza a partire da maggiori incentivi economici per favorire il lavoro
intramurario; investire in importanti opere di ristrutturazione degli Istituti penitenziari per migliorare
le condizioni di abitabilità e igienico-sanitarie degli stessi ambienti; assumere, come anticipato prima,
più personale esperto nel prevenire e gestire il disagio psicologico troppo diffuso in carcere, che rischia
di sfociare in gesti di autolesionismo, aggressione al personale penitenziario o ad altri detenuti e, ancor
peggio, nella decisione di togliersi la vita.
E ancora. È opportuno anche avviare una riflessione seria e di ampio respiro, con ricadute pratiche
almeno nel medio periodo, su come poter utilizzare le nuove tecnologie e la cultura digitale al servizio
dell’umanizzazione del carcere e del potenziamento delle misure alternative.
La Conferenza è infine convinta che sia doveroso attenuare l’applicazione della circolare n.
3693/6143 del 18 luglio 2022, sul riordino del circuito di media sicurezza, in ragione delle reali
condizioni della comunità penitenziaria
A nostro giudizio, le condizioni all’interno del carcere sono notevolmente peggiorate da quando in tutti
gli istituti penitenziari ha trovato applicazione la circolare sul riordino del circuito della media sicurezza
(DAP circ. n. 3693/6143 del 18 luglio 2022).10
Come noto, tale circolare è ispirata all’idea di “garantire una gradualità del regime e degli interventi di
trattamento”. Con essa, il DAP ha inteso superare la distinzione tra “custodia chiusa” e “custodia aperta”,
in favore di un trattamento il più possibile individualizzato, secondo il livello di autodeterminazione e
il processo di responsabilizzazione del singolo detenuto, di pari passo con il suo coinvolgimento nelle
attività rieducative offerte dall’istituto.
La sua applicazione però sta evidenziando, a livello nazionale, diverse criticità incluso, paradossalmente,
il ritorno sostanzialmente al regime della custodia chiusa per la maggior parte dei detenuti.
Tale circolare infatti prevede che, nelle sezioni a trattamento intensificato, la permanenza al di fuori
della cella sia pari ad almeno a 10 ore e, nelle sezioni ordinarie, pari ad almeno 8 ore.
Essa stabilisce che “la vita detentiva, in questi reparti, è caratterizzata dall’apertura delle stanze per assicurare, a chi
intenda parteciparvi, lo svolgimento delle attività trattamentali” ma, al contempo, anche che “non è prevista la
libertà di movimento e di stazionamento dei detenuti all’interno della Sezione”.
Di fatto, a fronte della diffusa incapacità/impossibilità da parte dell’istituzione detentiva di garantire
una ricca attività trattamentale – specie in ragione dell’architettura degli spazi detentivi e del sottorganico
del personale – la maggior parte dei detenuti si trova a trascorrere la maggior parte del tempo in celle
chiuse. E ciò contribuisce ad acuire il clima di tensione all’interno degli spazi detentivi, sempre più
affollati.
Situazione ulteriormente aggravata:
– dal fatto che l’allocazione presso una sezione a trattamento intensificato, più rispettosa del
modello costituzionale di esecuzione della pena (art. 27 Cost) e delle raccomandazioni contenute nelle
regole penitenziarie europee, e che, quindi, “dovrebbe essere la regola”, sembra invece oggi assumere un
carattere premiale ed eccezionale;
– dal fatto che le sezioni ex art. 32 reg. es. – riservate “alle persone che hanno un comportamento che
richiede particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da possibili aggressioni o sopraffazioni” e ai soggetti
trasferiti per motivi di ordine sicurezza, che richiederebbero una presa in carico multidisciplinare e un
monitoraggio più frequente – originariamente previste solo come eccezioni, sono in realtà sempre più
affollate.
Una situazione che, con ogni evidenza, espone il nostro Paese al rischio di nuove condanne
da parte della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU).
Proponiamo dunque una applicazione attenuata di tale circolare, in ragione delle reali
condizioni della realtà carceraria.11
Infine, una ultima questione ci preme.
È necessario, dare seguito, ora e subito, alla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2024,
per fare in modo di favorire l’esercizio dell’inviolabile diritto all’affettività in carcere.
A tal proposito, ci duole constatare che, ancora, non si è inteso prendere posizione rispetto alla
sentenza auto-applicativa della Corte costituzionale n. 10 del 2024 in tema di tutela del diritto
all’affettività delle persone detenute e del diritto a colloqui riservati e intimi (senza controllo visivo).
* * *
Come già affermato in diverse occasioni pubbliche, indignarsi non basta più.
Serve praticare l’impegno e tradurlo in soluzioni giuridiche immediate per ridare a più di 60
mila persone speranza e dignità, quelle che, oggi, il Legislatore – anche in conseguenza della
scarsa adeguatezza del recente Decreto – Legge ad incidere nell’immediato sulle drammatiche
condizioni detentive – sta svilendo.
Roma, 15 luglio 2024
Il Portavoce e il Coordinamento della Conferenza nazionale dei Garanti
territoriali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale