Proprio oggi ho ripreso a collaborare con Reti-invisibili.net, sito voluto con decisione da Haidi Giuliani e realizzato con il contributo di compagne e compagni, primo tra tutti il mitico Francesco “Baro” Barilli, attualmente in quarantena a Codogno dove abita. Come sempre, Haidi, ben conoscendomi, è riuscita senza difficoltà a vincere la mia lazzaronite, acuitasi in cinque anni da pensionato. Chi non conosce il sito farebbe bene, a mio avviso, a dargli un’occhiata: attualmente è in fase di ristrutturazione, ma nella pagina c’è il link per vedere gli articoli pubblicati. Sulla nuova edizione di Reti invisibili non dico di più, riservandomi un’adeguata presentazione.
Ecco, comunque, l’auto-presentazione del sito:
“RETI INVISIBILI è il network di associazioni italiane impegnate nella memoria storica, nella ricerca della verità e della giustizia su molte vicende che hanno insanguinato il nostro Paese dal dopoguerra ad oggi. Cosa lega le vittime innocenti delle stragi italiane a quelle uccise dalle forze dell’ordine, dallo squadrismo neofascista, dalle organizzazioni mafiose?
Fatti diversi tra loro però uniti da un’unica strategia: la negazione della verità da parte degli apparati dello Stato, conseguenza di insabbiamenti, sottrazione di documenti processuali rilevanti, sostanziale archiviazione di tutti i procedimenti in corso.
Senza l’accertamento della verità, i familiari delle vittime di stragi e omicidi compiuti anche da diversi responsabili sono diventati come invisibili, buoni solo per le ricorrenze e gli anniversari con cui lo Stato si autoassolve dalle sue responsabilità. Per questo da oggi quelle persone si ritrovano in “Reti invisibili”.
“Reti invisibili”ha realizzato questo portale internet con cui invece si renderà “visibile” l’attività delle associazioni. Una Banca dati della memoria dove saranno inseriti i profili delle associazioni, documenti giudiziari, schede e cronologia dei principali fatti dal dopoguerra ad oggi, contributi tecnici e giornalistici, eccetera.
Il simbolo di “Reti invisibili” raffigura l’unità dei piccoli pesci che rincorrono e alla fine inghiottono quello più grosso. E’ il nostro miglior auspicio per quanti ancora non hanno smesso di cercare una verità a loro negata.”
Nel corso delle mie ricerche per collaborare con la nuova edizione del sito, ho trovato una vicenda che mi ha colpito particolarmente, quella di Aldo Scardella. Ecco la presentazione della vicenda a cura di acaditalia.it
“Vi chiedo perdono, se mi trovo in questa situazione lo devo solo a me stesso, ho deciso di farla finita. Perdonatemi per i guai che ho causato. Muoio innocente”. Vero, Aldo Scardella è morto innocente, accusato di un omicidio che non aveva commesso. Lo avevano accusato di aver assassinato un commerciante durante una rapina nevrotica e dilettantesca l’antivigilia di Natale: tre colpi di pistola sparati a bruciapelo perché c’éra stata come si dice con burocratico cinismo, resistenza. Aldo abitava a circa centocinquanta metri dal luogo del delitto ed era completamente estraneo alla vicenda. Sequestrato alla sua famiglia, Aldo veniva incarcerato e segregato in una cella di isolamento, dapprima nel carcere di Oristano e poi in quello di Buoncammino di Cagliari, dove gli venne impedito di incontrare anche l’avvocato scelto dalla sua famiglia per difenderlo. Dopo 185 giorni di dura segregazione dove non venne mai neppure interrogato dal giudice istruttore sordo al suo grido di innocenza Aldo,il 2 luglio del 1986, veniva restituito alla famiglia cadavere. E’ stato trovato impiccato nella sezione di isolamento. La corda rudimentale ma efficace era stata ricavata dalla fodera del materasso. Inutili i soccorsi, il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Accanto al corpo il biglietto con su scritto: “Muoio innocente”.
Questa, invece, è la presentazione del documentario “185 giorni” a cura dello stesso regista Paolo Carboni
“Il 2 luglio del 1986 ,Aldo Scardella ingiustamente accusato di omicidio dopo un lungo e ingiustificato periodo di isolamento ,si toglie la vita impiccandosi alle sbarre della sua cella nel carcere di Buoncammino a Cagliari , la sua assurda storia è raccontata in “185 Giorni ” un documentario del regista Paolo Carboni ,voluto con forza e tenacia dal fratello Cristiano Scardella.