“Il dopoguerra degli “sconfitti” – Il fascismo nell’Italia repubblicana (1945-1950)”,

Di fascismo e neofascismo si parla spesso, a mio avviso, in termini generali se non superficiali, dettati da un encomiabile spirito antifascista in molti casi, per  sdoganarlo e accreditare la vulgata secondo cui il fascismo non è più un problema.

Dobbiamo a due “grandi” protagonisti della storia italiana se, alcontrario, il fascismo è un problema attuale: il comunista Togliatti, con la sua amnistia che lasciò i fascisti ai loro posti nei vertici delle istituzioni, e il socialista Craxi che, nel 1983, incaricato di formare il governo aprì le consultazioni all’MSI di Giorgio Almirante, mettendo fine all’ipocrisia dell’arco costotuzionale da cui i fascisti erano esclusi; salvo risultare preziosi con i loro voti, spesso sottobanco, esplicitamente nel caso della formaione del governo Tambroni.

Nel saggio “Il dopoguerra degli “sconfitti” – Il fascismo nell’Italia repubblicana (1945-1950)”, di Pierpaolo Cetera, ho trovato una  approfondita e documentata ricostruzione di un periodo forse non abbastanza conosciuto che può essere sicuramente utile per capire il cosiddetto neofascismo, che forse tanto nuovo non è.

Pierpaolo Cetera nasce nel 1969 a Crosia, dove vive e lavora. Laureato in Lettere e Filosofia, è autore di alcuni saggi sulla storia locale e naionale e sull’antropologia. Attualmente si occupa di ricerca delle civiltà locali, integrando gli aspetti materiali e simbolici con la storia della mentalità e delle cultue euro-mediterranee. Si occupa di associaionismo e promoione culturale in Calabria ed è presidente dell’Associazione Culturale Soci@l di Mirto Crosia.

(Avvertenze: sulla mia tastiera la lettera z non funziona, ho cercato di rimediare copiandola ed incollandola laddove necessario, ma non escludo mi sia sfuggita qualche parola; considerato l’argomento ho scelto di pubblicare solo immagini che testimoniano dell’antifascismo; le immagini sono state scelte da me e non dall’autore del saggio).

“Episodi e crisi del “reducismo attivo” (1945-1947)
Dopo il 25 aprile 1945, molti degli appartenenti alle disciolte milizie del Partito Fascista Repubblicano e dell’Esercito della Repubblica Sociale Italiana furono i protagonisti di iniziative dirette contro il nuovo corso democratico. Il clima di rancori e di vendette alimentato dai reduci e i timori per una possibile continuazione delle violenze e degli attentati politici «… fan mettere in calcolo il peso che potrebbero avere decine di migliaia di giovani fascisti clandestini o semiclandestini sul piano della lotta armata »(1)
Secondo una testimonianza neofascista (2), nella solo Milano e provincia i fascisti repubblicani inquadrati nelle organizzazioni armate (Brigate nere, Guardia Nazionale Repubblicana, Xa M.A.S. ed Esercito Repubblicano) ammontavano, nei giorni dell‟insurrezione partigiana, a circa 16 mila uomini. Molti degli smobilitati cercavano di proseguire una azione politico-militare clandestina. Vi erano sparsi sul territorio un numero elevato di gruppi in possesso di armi e di esplosivi, non requisiti dopo la fine delle ostilità. Altro potenziale di conflitto erano i circa quarantamila fascisti detenuti nelle carceri (3)
La precarietà e la frammentazione dei gruppi rimasti fedeli a un modello di fascismo romantico-
esistenziale (erede del crepuscolo mussoliniano, dopo la “caduta degli dei” nazi-fascisti) insieme al discredito dell‟epopea mitologica che iniziava a circolare nelle sporadiche  pubblicazioni, e unita alla repressione delle nuove autorità e alla vigilanza antifascista dei  partiti, determinò nei soggetti attivi o una impotenza (espressione di una condizione  psicologica di smarrimento, di reietti, di respinti dal consorzio civile) o una strategia che consisteva nella partecipazione semiclandestina a una pletora di organizzazioni.
La  proliferazione di gruppi, durante il biennio, 1945-1947, non consente di conoscere le cifre esatte sul numero di aderenti al neofascismo nella sua fase di clandestinità. I primi gruppi che
manifestarono la loro volontà di continuare la azione fascista si diedero i nomi di “Guardia  Nera Clandestina” (G.N.C.), “Fonte Antibolscevico Italiano” (F.A.I.), “Volontari dell‟Ordine  Nazionale” (V.O.N.), ”Truppe Nazionali” (T.N.), ”Movimento di Azione Rivoluzionaria Italiana” (M.A.R.I.), “Arditi d‟Italia” o “Armata Rivoluzionaria” (A.R.): sigle la cui  consistenza numerica (e la pericolosità) non è stata tuttora possibile ricostruire integralmente.
Gli uomini impegnati con queste organizzazioni furono coloro che, nella precarietà della loro esistenza, organizzarono una attività puramente clandestina (irruzioni vandaliche nelle sedi di  partiti democratici, rocamboleschi volantinaggi e affissioni di fogli esaltanti il fascismo,  disturbo dei comizi dei partiti, etc.). Un‟attività politica più “visibile”, con appelli su giornali e iniziative di assemblee pubbliche, venne condotta dai gruppi come il “Partito Socialista Repubblicano”, la “Lega Unificata Patrioti Anticomunisti” e il “Movimento Italiano di Unità Sociale”. Provocatorie erano le “organizzazioni” (ma ricordiamo come poco organizzate, e a volte costituite da qualche decina di militanti, furono queste prime apparizioni neofasciste) cheosarono riproporre il termine fascista ( o riferimenti a Mussolini) nei pochi mesi dopo la fine della Resistenza: si va dal gruppo del “Partito Mussoliniano Italiano” alle “Squadre d‟azione Mussolini”, dal “Movimento Fascista Repubblicano” al “Partito Monarchico Fascista”, dal “Partito Democratico Fascista” di Domenico Leccisi (4) al gruppo milanese di “Lotta Fascista” (
che pubblicava un omonimo foglio di agitazione e i cui aderenti risultarono essere già inseriti nel partito di Leccisi ). I reduci della guerra fascista, coloro che non si rassegnarono alla sconfitta, utilizzarono queste ultime sigle per compiere manifestazioni, come il lancio di volantini, le scritte murali, le azioni di disturbo nei confronti delle iniziative dei democratici; o attentati dimostrativi (bombe, fucilate e assalti alle stazioni-radio: giovani “arditi”, nel febbraio 1946 occupavano a Roma Radio Monte Mario, incitando a “continuare la battaglia per l‟idea fascista”) allo scopo di opporsi con ogni mezzo al nuovo corso della politica senza il fascismo (5)
I giovani del disciolto esercito della Repubblica Sociale, con un «… disperato costume di comportamento…»(6), furono i terroristi che piazzarono una bomba alla sede del P.C.I. di Porta Genova a Milano il 9 ottobre 1946, esplosione che causò la morte di un bambino, figlio del custode della sezione comunista. Per tutto il 1947, nella sola Lombardia, ci furono molti attentati: l’escalation raggiunse il culmine con la bomba del 25 settembre 1947, esplosa nella sede della federazione comunista milanese, con l‟esplosione, il 3 ottobre dello stesso anno, nella sede del P.C.I. di via Andrea del Sarto e con l‟uccisione, il 10 ottobre, sempre nel 1947, dell‟ex partigiano Luigi Gaiot, durante una manifestazione contro i raids fascisti del giorno prima. Il 15 gennaio del 1948, a Desenzano sul Garda, un‟esplosione nella sede locale del P.C.I., durante una assemblea di ex partigiani, causò alcuni feriti.
Episodi analoghi venivano registrati in altre regioni. Il “Nuovo Corriere della Sera” dell‟ 8 dicembre 1947, dopo l‟arresto di alcuni militanti neofascisti, così ipotizzava sulla rinascente
attività eversiva: era come se «… la banda ora arrestata si trovasse inserita in un sistema più complesso, nel quale diverse bande e molteplici organismi politici e militari agiscono sotto la direzione di un unico centro… » (7). Queste azioni terroristiche dimostravano che i vinti, all‟indomani della sconfitta, avevano ancora un forte legame e che tessevano una strategia revanscista nel nome dell‟ Idea “fascista e rivoluzionaria”. Il rancore per la sconfitta (secondo la pubblicistica neofascista, un disonore dovuto al nemico “interno” e al dispiegamento massiccio delle forze imperiali rosse e a “stelle e strisce”), la fucilazione di Mussolini e di altri importanti dirigenti del fascismo, la forte affermazione del nemico comunista nella nuova condizione politica e l‟esecuzione “post bellum” di ras e militanti neofascisti, furono gli elementi presi in considerazione, in ogni momento d’incontro fra i reduci di Salò. Mentre alcuni degli ex gerarchi sopravvissuti erano nascosti, numerosi erano i militanti nelle carceri
italiani e molti erano i fascisti prigionieri nei “campi di rieducazione”, allestiti sul territorio italiano dagli Inglesi e Americani. Tutti furono accomunati dall‟ impossibilità di accettare la sconfitta, di “elaborare il lutto”. L‟ assurdo senso della Storia, per i neofascisti, aveva distrutto i loro ideali di soldati, che nell‟onore, nel cameratismo e nella guerra avevano trovato, rispettivamente un senso, una bandiera e una patria. Chi da ex militante della “ repubblichetta” ( come dispregiativamente era chiamata nei quotidiani antifascisti), da “repubblichino” (8), era libero di muoversi, non avendo subito  processi penali, viveva nell‟impotenza di non poter agire direttamente, alla luce del sole, ed era
sotto sorveglianza della polizia e delle organizzazioni dei militanti antifascisti.
Emersero, in un primo momento, delle tendenze “rivoluzionarie” e clandestine all’interno dei gruppi animati dalla volontà di continuare la lotta politica (anche con le armi): il composto ideologico neofascista venne rafforzato nella sua carica vitalistica e, nel contempo, nel suo cupo pessimismo. Il militante si convinceva che una sorte contemporaneamente “tragica ed eroica”, fosse il destino di tutta la comunità dei camerati sopravvissuti all‟ecatombe della guerra civile.
Queste tendenze “rivoluzionarie” furono successivamente assorbite e incanalate verso un fascismo propenso alla soluzione autoritaria della forma dello Stato e alla soppressione manu militari del conflitto sociale, da una parte, e un fascismo che riscopriva le sue radici anti-capitalistiche, comunitariste e contrarie all‟ordine sociale democratico, dall‟altra.
I velocissimi cambiamenti che si stavano attuando nei rapporti fra le potenze alleate e il
delinearsi di una nuova geografia politica, fondata sulle “sfere di influenza” fra le due
superpotenze, nonché sul controllo militare diretto dei territori dove erano stanziati i rispettivi eserciti, porteranno nel giro di poco più di un anno a una nuova contrapposizione fra il sistema sovietico e l‟occidente capitalistico.
Questa situazione avrà un peso rilevante in Italia sia per la presenza di un forte partito comunista sia per la presenza di un partito cattolico egemone, fautore sul piano internazionale di una iniziativa politica capace di ancorare la nazione al Patto Atlantico.
Gruppi politico-militari e gruppi paramilitari.
La clandestinità dei gruppi, che in un modo o nell‟altro si richiamavano all‟esperienza della Repubblica Sociale, comportò una radicalizzazione della prassi politica. Per chi fu un semplice militante ( avendo vissuto in modo “poco appariscente” la sua esperienza nella R.S.I.) l’ azione politica di “disturbo” e di attacco alle istituzioni partitiche o associative divenne normale attività: fu una predisposizione alla violenza politica tipica dei reduci di guerra. Per i più esposti e per gli ex dirigenti, tuttavia le azioni furono puramente simboliche e consistevano in qualche riunione fra reduci, in pubblicazioni di memoriali e in timide presenze alle manifestazioni dei nuovi partiti “istintivamente” sentiti più vicini alla propria indole politica. C‟era chi, non disdegnando l‟uso della violenza politica, attribuiva all‟azione terroristica una valenza ”positiva”, dato che presto la guerra civile contro il comunismo (e la democrazia, concepita come anticamera del bolscevismo) avrebbe presto raggiunto la fase dello scontro diretto e cruento. La sconfitta ad opera degli Alleati poteva essere considerata un male minore: molto più importante era, per i neofascisti, la conseguenza che la vittoria antifascista aveva rafforzato a dismisura le forze comuniste.
a) I Fasci di Azione Rivoluzionaria
L‟esperienza più rilevante del risorto attivismo neofascista fu quella dei “Fasci di Azione Rivoluzionaria”, una sigla d‟ispirazione “interventista” e “diciannovista” presente fin dall‟estate del 1946. A differenza dei gruppi di reduci della prima guerra mondiale, iniziatori dei “fasci di combattimento” e delle “squadre d‟azione”, i nuovi reduci agirono in totale clandestinità. Fondati ufficialmente da Pino Nettuno Romualdi, Giorgio Almirante e Roberto Mieville (9) su una struttura già esistente dalla fine del 1945 (organizzata dal solo Romualdi), i “Fasci d‟ azione” avevano il compito di rinsaldare la massa dei reduci del fascismo e di preparare lo scontro con le forze antifasciste, approfittando del momento in cui questi partiti si disputavano il potere e si dilaceravano a causa delle rotture (collocazione internazionale e questione sociale) giudicate insanabili.Nel manifesto pubblicato nell‟autunno 1946, sul foglio clandestino dei neofascisti, “Rivoluzione”, i componenti del direttivo scrissero: « Le forze di Destra, che hanno per caratteristica distintiva una vigliaccheria congenita unita ad una sacrosanta paura di perdere i loro privilegi,saranno alla ricerca disperata di una forza qualunque capace di affrontare validamente l‟estrema sinistra. Quello sarà ilnostro momento. Si tratta insomma di creare nel paese una psicosi anticomunista tale da costringere tutti i partiti ad appoggiare il Fascismo come il più dinamico dei movimenti anticomunisti… » (10). Il gruppo inizierà un percorso di revisione di alcuni dogmi della dottrina fascista, lasciando in eredità una concezione del “politico” che sarà ripresa molti anni dopo. I F.A.R. furono i primi che sostituirono, rispetto al fascismo storico, l‟ “ottimismo vitalistico e progressivo” (per usare un‟espressione di Renzo De Felice) con un “pessimismo tragico”; ma furono anche coloro che per primi diedero al fascismo un significato “epocale” e “catartico”: con la disfatta, il primo ciclo storico del fascismo era chiuso, si trattava ora d‟iniziare un altro ciclo. La consistenza dell‟autonomia della ideologia fascista, improntata a referenti sociali e combattentistici, non emergeva, nel nuovo contesto democratico, tanto dal linguaggio, ancora ispirato a un tono retorico (11), ma dalla prassi politica che presentava i caratteri volontaristici e individualistici. La formazione si proponeva di essere non «… il partito neofascista… ma… un centro di raccolta e di coordinamento delle sparse forze fasciste » (12), di essere cioè “custode della Idea fascista” nel quale fare affidamento per far risorgere un nuovo e “puro” fascismo.“La carta di orientamento ideologico”, proposta dai dirigenti (13) e diffusa fra imilitanti semiclandestini, nel 1947, ribadiva la validità dei “principi informatori” della idea fascista, ovvero la concezione spiritualistica, etica, religiosa (nel solco della tradizione romana e cristiana) e volontaristica del fascismo. «Una nuova concezione totalitaria della vita e del mondo» era portata avanti dai rivoluzionari: così era stato scritto (suggellando iltema integrale dell‟eposfascista) nella carta di orientamento. «Il Fascismo nega l‟attivismo, cioè l‟azione per l‟azione… nega l‟individualismo… nega che l‟autorità coincida con la dittatura, anche se riconosce la validità storica di questa, come momento di transizione nella vita dello Stato… », avevano scritto gli estensori della carta. Vennero ribadite le principali questioni relative all‟organizzazione del lavoro, così come erano emerse durante il regime e anche nella Repubblica Sociale, ovvero “collaborazione” fra i ceti, riconoscimento della “naturalità” delle elites e delle gerarchie, espresse dal popolo, e, infine, la “socializzazione” delle imprese come vero atto di trasformazione delle condizioni materiali, salvaguardando la proprietà e i rapporti di competenza in fabbrica. Nel capitolo chiamato “Posizione storica” si ribadiva «… una distinzione fra Fascismo e regime fascista: mentre il primo continua ad essere il solco per le generazioni italiane ed europee, il regime fascista è da considerarsi il primo ciclo storico del Fascismo »; veniva poi amaramente ricordata l‟esecuzione del duce, «… il tremendo episodio finale di una guerra civile in atto». Nel documento veniva scritto che «… il partito… non ha maturato, nè espresso nel ventennio una classe dirigente integralmente fascista… », ma un «… gerarchismo prepotente, superficiale e sleale… ». Secondo i neofascisti, quest‟ultimi, furono elementi “disgregatori” del regime. «Ideologicamente e politicamente il fascismo è repubblicano… » concludevano gli estensori della “carta del 1947”, dopo aver definito la monarchia «… responsabile della guerra civile iniziata il 9 settembre ».

Nel paragrafo dedicato al “mondo politico attuale”, il documento dei Fasci rivoluzionari considerava «… superato il sistema parlamentaristico così come si attua attraverso i partiti.. »; questi ultimi erano definiti elementi corrosivi della Nazione. “La natura e i fini dei F.A.R.” andavano dalla “conquista dello Stato” allo sviluppo di nuove idee e alla formazione di “uomini nuovi”. La vita attiva del fascista rivoluzionario e d‟azione era improntata sulla “segretezza, intransigenza ideale e sostanziale, l‟audacia e la tenacia”, elementi che portavano a una «… la fede fino al fanatismo, giustificando ogni sacrificio ulteriore… » (14). I “fascisti rivoluzionari” prospettavano un atteggiamento e una concezione della vita politica che era agli antipodi del modo di essere “esuli in patria”. Un carattere che aveva dei referenti etico-esistenziali costitutivamentefondati sul combattimento, sulla continuazione della guerra e sull‟ intransigenza politica; i “faristi” non erano sfiorati da “sbandamenti e umiliazioni”, ma reagirono alla condizione di essere degli “stranieri interni” (15). I F.A.R. erano suddivisi, secondo una complessa gerarchia piramidale, in militanti raggruppati nel Fascio, costituiti da un minimo di 50 persone e divisi in sottogruppi: i Nuclei d‟Azione Rivoluzionaria (N.A.R.), le Squadre d‟azione e Gruppi d‟Azione Rivoluzionaria (S.A.R. e G.A.R.). Esisteva un comando di provincia e un organismo chiamato Direttorio, composto da un minimo di 3 a un massimo di 9 membri. Massima istanza era il Consiglio Nazionale. La rete neofascista dei F.A.R. era mantenuta sotto un rigido controllo delle comunicazioni, tramite “circolari” (un centinaio in tutto: dalla fine del 1946 al giugno 1951), diramate dal “centro” (il Direttorio) alle “periferie” (squadre, nuclei e gruppi di azione). Sicuramente le principali azioni attribuite ai F.A.R. furono compiuti dalle cellule N.A.R composte da tre elementi. Gli elementi più attivi furono addestrati in campi militari e nei poligoni di tiro improvvisati in alcune zone di montagne dell‟ Appennino tosco-emiliano e nel Lazio, e costituivano i “soldati” e gli “ufficiali “ dell‟ “Esercito Clandestino Anticomunista” (E.C.A.), a cui si attribuiscono una funzione di prevenzione (nel caso di un presunto golpe comunista). Roma fu la città dove le azioni, con l‟uso di bombe-carte o con le raffiche di proiettili, furono orientatespecialmente contro le sezioni dei partiti antifascisti. Fra il 1946 e il 1950 ci furono decine di attentati, perlopiù anonimi, non rivendicati, a Roma, a Napoli, a Milano, a Brescia 16.Le prime azioni furono di ordine intimidatorio e con lo scopo di creare panico fra la popolazione: in una di questi attacchi, in un quartiere popolare della periferia romana, si spararono delle fucilate sui muri delle case.

Avanti! del 23 aprile 1919, con il lancio della sottoscrizione popolare per la costruzione della nuova sede del giornale dopo le devastazioni squadriste.

Naturalmente non tutte queste intimidazioni sono attribuibili ai F.A.R.: neofascisti autonomamenteorganizzati furono autori di due attentati, a Roma, contro i quotidiani “L‟ Avanti! ” e “L ‟Unità” la notte del 30 Aprile 1946. Ai militanti legati ai fogli di agitazione “Credere” e “ Lotta Fascista” furono attribuiti gli attentati a un cinema nell‟ottobre 1945 e in un circolo culturale di Milano il 9 ottobre 1946.

Sia l‟allora ministro degli Interni Romita, sia esponenti politici della sinistra sostennero che questi giovani neofascisti disponessero di armi, denaro ed esplosivi, ma solo durante il periodo elettorale (1946) ci furono delle azioni della polizia che portarono a qualche arresto fra i militanti. Non vi furono relazioni fra i F.A.R. di Mieville, Romualdi e Almirante e questi gruppi di neofascisti: ciò sia per la lotta per l‟egemonia condotta fra i differenti gruppi, sia per la scarsità dei militanti (ma anche per la discontinuità nell‟ impegno e militanza) capaci di collegare le varie esperienze in uno spazio politico affastellato e destrutturato.Fino al luglio 1947 la coesistenza di un‟ala dirigenziale favorevole alla costruzione di un partito rivoluzionario e di un‟ala più militarista, denominata “Esercito Clandestino Anticomunista” (E.C.A.), propensa all‟azione diretta contro il sistema democratico 17, si manteneva in questo periodo anche a causa della solidarietà fra i membri dei F.A.R., dopo che il gruppo fu colpito da numerosi fermi di polizia effettuati durante la vasta operazione di repressione delle attività fasciste sull‟ intero territorio nazionale (Roma, Milano, Padova e Napoli, cittàcon le più importanti sedi dei Fasci d‟azione rivoluzionaria) nel giugno 1947. Sfuggirono agli arresti Almirante e fra i personaggi di spicco arrestati vi furono l‟ex colonnello della G.N.R. Guido Pollini e l‟ex ispettore regionale (del Veneto) del PFR Giuseppe Pizzirani: l‟accusa rivolta ai F.A.R. fu di tentata strage per la bomba alla Prefettura di Milano, 20 maggio 1947, ma anche di traffico di armi a Novara (l‟inchiesta fu aperta dal magistrato Oscar Luigi Scalfaro). Fu questo il primo scompaginamento nelle file dei FAR. Dopo un‟altra retata della polizia del luglio 1947, alcuni esponenti “faristi” confluirono nel “Movimento Sociale Italiano”, definito come uno strumento della nuova lotta politica, mentre una parte di irriducibili, successivamente, costituì la “Legione Nera”. I F.A.R. poco prima delle elezioni del 1948 intensificarono la loro azione di «… penetrare dovunque sino a costituire uno Stato nello Stato », di alimentare i conflitti fra gli antifascisti, e infine, di conquistare lo Stato (circolare del marzo 1948). Dopo il 18 aprile 1948, con la vittoria della D.C. e dei moderati, i F.A.R. continuarono ed intensificarono l‟attività militare con numerosi attentati e procurando numerosi danni materiali ai partiti di sinistra e alla D.C.; sul piano politico-ideologico attaccarono veementemente la tentazione parlamentare presente anche fra i ranghi neofascisti aggregatisi attorno al già attivo “Movimento Sociale Italiano”, accusando il gruppo di „politicanti‟ di «… svilire l‟impulso rivoluzionario fascista », di usare i mezzi «… del ricatto e del compromesso elevato a norma… (del) soffocamento delle intelligenze, dei programmi arditi… », in una parola della democrazia (circolare del giugno 1948). Denunciano i tentativi clericali di asservimento dei fascisti tramite organismi paramilitari come i Vo.Ci. (Volontari Civili), allo scopo di volersi distinguere, anche al costo di venire allo scoperto, da quel che definiscono la “trama clericale-conservatrice”. Tuttavia il gruppo dirigenziale dei FAR, in un‟altra circolare, sosteneva che la massa fascista degli epurati, degli ex combattenti, dei giovani e degli ex quadri del partito «… non può essere organizzata clandestinamente, essa bisogna che sia inquadrata in organizzazioni alla luce del sole, ufficialmente costituite, con sedi e giornali, tessere e distintivi, bandiere e vessilli… » (circolare del 18 agosto 1948).Nella circolare dell‟ agosto 1948 i F.A.R. invitavano i propri militanti ad appoggiare e collaborare alle iniziative del Movimento Sociale Italiano ( il partito favorevole alla lotta legale) e della Federazione dei combattenti della RSI (l‟ organizzazione dei reduci di Salò). Il Movimento Sociale Italiano, che aveva iniziato il suo percorso da circa un anno e mezzo, costituiva sempre di più il referente delle “masse fasciste”: la crisi dei F.A.R. era direttamente proporzionale all‟ avanzamento e alla crescita del partito erede del fascismo.
b) Organizzazioni paramilitari (“Armata Italiana di Liberazione”, A.I.L. e “Reparti Anticomunisti Monarchici”, R. A. M.), i “F.A.R.-Legione Nera” e le “Squadre d’ azione Mussolini”
Gli intransigenti, legati al culto dell‟azione rivoluzionaria, si riorganizzarono, in un primo momento, attorno alla “Milizia Legionaria”, il cui compito era stata la preparazione dei quadri, dei reparti e dei mezzi per l‟affermazione della rivoluzione fascista: tutto doveva essere funzionale alla costruzione dell‟esercito della seconda repubblica sociale italiana. Esistevano altre forme di militarizzazione della lotta politica in cui il neofascista poteva trovare una sistemazione, anche se temporanea, per svolgere un‟attività preparatoria alla guerra civile : diventare membro di uno dei tanti “corpi franchi” presenti sul territorio nazionale. Le organizzazioni paramilitari di stampo anticomunista o monarchico più rilevanti furono l‟ ”Armata Italiana di Liberazione” (A.I.L.) e i “Reparti antitotalitari anticomunisti Monarchici” (R.A.A.M.), mentre altri (come le “Truppe Nazionali” o i “Volontari Ordine Nazionale”) furono ininfluenti.L‟ A.I.L. si costituì a livello nazionale nell‟aprile del 1946, sotto l‟egida di numerosi ex ufficiali dell‟esercito di Badoglio (i massimi dirigenti furono il generale Sorini, il colonnello Musco e il generale Messe, tutti ex mussoliniani divenuti badogliani) e con l‟appoggio dei settori più conservatori del governo statunitense. L‟organizzazione era costituita da uomini prescelti e mobilitati in base al grado di adesione (che andava dal semplice simpatizzante al veterano) e ciò implicava un coinvolgimento parziale o totale, “impolitico” o direttamente politico-militare del militante. L‟ opposizione alle “minacce della cosiddetta democrazia progressiva” dei comunisti furono le motivazioni che spingevano, secondo i generali dell‟ “A.I.L.”, alla costituzione della armata. I neofascisti subirono il fascino di questa organizzazione monarchica e militare, oltre che per l‟ anticomunismo, per via del possibile passaggio all‟azione di guerra e al cameratismo fra soldati e reduci. Oltre all‟ attività paramilitare (parate, convegni militari e dimostrazioni di “guerra”) l‟ A.I.L. «… mostra fin dalla sua origine di perseguire anche obiettivi di lotta armata. Si distribuiscono armi, si costituiscono depositi periferici di esplosivi in vista di scadenze impegnative e per prepararsi ad ogni evenienza. Vengono approntati gruppi speciali, cosiddetti “nuclei di fuoco”, gerarchicamente inquadrati, sottoposti a rigida disciplina militare e composti da uomini di assoluta fiducia » 18. L‟azione politica di questa “armata” mostrava il suo volto di “guardia bianca” del gruppo agrario-industriale fin dalle prime uscite: nelle province lombarde l‟ A.I.L. appoggiava, con una funzione antisciopero, i proprietari terrieri alle prese con il movimento contadino per il rinnovo dei patti coloniali 19. Fu proprio questa iniziativa a compromettere le relazioni con altre organizzazioni e a far sorgere un veemente contrasto con i neofascisti “sociali”. Completamente collocati a sud del territorio nazionale (pur con qualche propaggine a Torino e Milano) i “Reparti antimarxisti e monarchici”, costituiti fin dall‟ estate del 1945, costituiti da ex militanti del P.N.F. e da monarchici e addestrati dall‟ammiraglio Garofalo 20e da ex ufficiali della guardia “repubblichina”. Un forte nucleo dei R.A.M. era attivo nella città più monarchica d‟ Italia: Napoli. Nel Maggio del 1946, dopo l‟abdicazione del re, ci furono scontri fra questi “camelot du roi” e le forze di polizia. Il clou venne raggiunto dopo il Referendum istituzionaledel 2 giugno e la proclamazione della repubblica: «… per tutta la notte del 5 e la mattinata del 6 giugno in una concitata seduta viene studiato un piano per sollevare militarmente Napoli e compiere quindi la marcia su Roma… (ma) prevale l‟opinione di alcuni che ritengono impossibile almeno per il momento un colpo di forza armato » 21. Da parte neofascista si affermò che i militanti di queste organizzazioni paramilitari lealiste si trovarono «… pescando nel grande mare degli epurati, degli ex internati, dei latitanti e dei reduci e facendo intravedere prodigiosi miraggi di amnistia » 22. Anche il fascino delle armi, della condizione di miliziano pronto al combattimento e pronto a praticare quell‟ etica guerriera tanto esaltata, nei racconti della guerra appena trascorsa, avevano il loro peso in queste scelte dei nuovi “lanzichenecchi”, dei nuovi soldati-politici. A Roma, dove s‟era organizzata la base più consistente, l‟ azione terroristica dei “F.A.R.-Legione Nera” -le cui prime rivendicazioni furonodatate 1949 -era diretta principalmente contro i partiti e contro i simboli dello Stato democratico 23.Fra le formazioni paramilitari bisogna distinguere fra quelle che esplicitamente si richiamavano al neofascismo e quelle genericamente conservatrici e monarchiche, caratterizzate da un virulento anticomunismo e non da un progetto di fascistizzazione delle strutture dello Stato.Per rivendicare alcune azioni terroristiche i neofascisti si diedero la denominazione di “Squadre d‟Azione Mussolini” ( S.A.M.). Le squadre di fascisti che davano fuoco alle sedi dei partiti di sinistra, davano il nome del duce all‟organizzazione con chiaro intento di vendetta: per questo non si conoscono nè date di costituzione, nè programmi pubblicati, nè nomi di militanti, anche se ci furono numerosi arresti di ex brigatisti neri passati a questo neosquadrismo vendicativo. Si trattava di un comportamento legato al culto dell‟ azione, un atteggiamento che si rinnoverà in molti periodi di crisi del sistema politico nazionale.
3 I dibattiti politici su alcuni giornali: i neofascisti fra inserimento nei partiti e autonomia (1945-1948)
L‟analisi della situazione politica e militare della nuova condizione, elaborata dai giornalisti filofascisti, per il periodo fra il 1945 eil 1948, veniva orientata secondo le linee di tre argomentazioni: 1) la totale equivalenza fra partigiano e comunista; 2) la presunta neutralità delle altre forze politiche in caso di un conflitto armato fra fascisti e comunisti, e 3) la supposta compattezza di tutti i militanti anticomunisti nella guerra “fra italiani”. Per quel che riguarda la prima delle congetture i giornalisti di non celata fede fascista si trovarono di fronte ad una realtà fatta da una massiccia presenza di militanti e leaders della Resistenza di formazione cattolica, laica o liberale, nonché , in alcune zone, di gruppi libertari o comunisti autonomi e non filo-sovietici.La polemica fu quindi indirizzata verso la svalutazione della funzione e delle attività dei partigiani non comunisti.Per esempio, la rivista bresciana, “Ordine Nuovo”, nel novembre 1946, bollava i partigiani democratici-cristiani come “approfittatori”, “fondi di galere” o come “fossili di ideologie politiche cadute in discredito e in disuso”; poi, continuava il foglio, descriveva e vedeva nel partigiano il nemico principale che aveva partecipato e continuava a partecipare “ai massacri del dopoguerra”.
L‟anticomunismo e i toni anti-resistenziali si fondevano, in questa pubblicazione fondata da Guglielmo Zatti, inun unico discorso il cui vero obiettivo era la democrazia dei partiti di massa.I partiti, per i neofascisti, erano una minaccia alla nazione, non meno del PCI. I comunisti e le loro organizzazione partitica (il termine più usato era social-comunismo,affibbiato ad ogni partito o alla sinistra interna di ogni partito) non erano da eliminare in quanto rivoluzionari e favorevoli alla conquista violenta dello Stato «… ma perchè rappresenta[no] una forza negativa, una forza demagogica di disgregazione, di corruzione politica e di insidia antinazionale » 25. Fra il 25 aprile del 1945 e il 26 dicembre 1946, l‟anno di fondazione del primo partito istituzionale neofascista, gli ex dirigenti politici e militari della Repubblica Sociale, che non erano finitiin carcere o nei campi di prigionia della A.M.G. (Allied Military Government), lavorarono alacremente alla costruzione di una “casa comune”, mentre altri cambiarono identità politica o, pochi in realtà, si esiliarono volontariamente in altri paesi europeio extraeuropei.

“Sono tre ‘besughi’ che hanno fatto qualcosa di assolutamente intollerabile”. Tutto qui per Il sindaco di Genova e della Città metropolitana, Marco Bucci.

a) I rapporti fra “L’ Uomo Qualunque” e i neofascisti.
Fu la formazione politica dell‟ “Uomo Qualunque” il primo luogo privilegiato dagli ex gerarchi fascisti, il partito dove potevano trascorrere il tempo nell‟attesa della fine della“tempesta” che aveva investito l‟ ambiente dei camerati e dei reduci.Il movimento pseudo-liberale dell‟ “Uomo Qualunque” veniva fondato nell‟agosto 1945, dopo le lusinghiere vicende e i consensi avuti dal dicembre 1944 dal giornale fondato dal napoletanoGuglielmo Giannini, un ex commediografo, di formazione politica “liberale e repubblicana”. Interprete di un atteggiamento caratterizzato dalla «… insofferenza verso il mito della Resistenza e la politicizzazione crescente della vita pubblica, la denuncia degli eccessi dell‟epurazione e della disonestà dei politicanti, la difesa del quieto vivere contro l‟invadenza dei partiti » 26, il “Fronte dell‟Uomo Qualunque” rappresentava politicamente le masse abuliche e pauperizzate della piccola borghesia delle città centromeridionali (mentre meno consistente era il suo consenso nel nord). Il F.U.Q., il nome che assumeva la formazione di Giannini nelle prime elezioni politiche democratiche del 1946 riusciva a ottenere un importante risultato elettorale.Più che di un‟ideologia formalizzata secondo i canoni della suddivisione Sinistra-Centro-Destra, il partito di Giannini era espressione di un ”senso comune” degradato, di una mentalità paternalistica e familistica della generazione cresciuta sotto l‟autoritarismo italico del ventennio fascista; insieme alla veemente opposizione al nuovo corso democratico-repubblicano, vi era, presso i qualunquisti, un‟acredine verso il medesimo 27. Molti quadri medi, e qualche dirigente di rilevanza nazionale, del futuro partito dell‟eredità neofascista, si acevano avanti, più o meno timidamente, nelle file del Fronte dell‟Uomo Qualunque, nonostante la dirigenza dello stesso movimento proclamasse l‟ estraneità a qualunque “dittatura”, assumendo una posizione politica generica, quanto bastava per raccogliere consensi nei ranghi degli ex repubblichini. I qualunquisti furono poco propensi al controllo del recente passato dei “nuovi” arrivati nelle file del partito, e i neofascisti utilizzarono il F.U.Q. come occasione per una futura agibilità nel campo politico-istituzionale. Lo stesso leader Giannini ne fu consapevole.Questa realtà non impedì a numerosi altri filofascisti, legati ad alcune riviste, come la “Rivolta Ideale”, fondata l‟ 11 aprile del 1946 da Giovanni Tonelli, figura digrande importanza nell‟ ambiente neofascista romano, o come “ il Merlo Giallo”, fondata il 2 aprile 1946 sempre a Roma da una figura di spicco dei “moderati” filofascisti, Alberto Giannini 28di attaccare violentemente il “Fronte dell‟Uomo Qualunque” (F.U.Q.), quando ci furono discussioni e contatti fra Guglielmo Giannini e Palmiro Togliatti. I militanti qualunquisti reagirono invadendo la sede del settimanale di Tonelli, ma l‟aspra polemica continuò lo stesso. « La fortuna immediata del qualunquismo, perquanto effimera, dimostra che l‟area di Destra, dai conservatori ai fascisti, se pure politicamente disorientata e organizzativamente allo sbando, resta comunque una realtà sociale insopprimibile, alla ricerca solo di rinnovati canali di espressione e di una nuova identità politica…», hanno scritto Roberto Chiarini e Paolo Corsini 29.Per i nuovi fascisti la polemica antidemocratica sviluppata dal gruppo dirigente qualunquista soddisfaceva molte delle loro posizioni, e siccome nella polemica vi era spazioper triviali attacchi ai nuovi “arrivisti” (com‟erano definiti, sui fogli di propaganda, gli antifascisti), per la critica di ogni epurazione ( nel nome della pacifica riorganizzazione della nazione) e , infine, per l‟ossessivo richiamo all‟ ordine pubblico e alla legalità, molti dei voti provenivano sia reduci della RSI, che da ex notabili del Partito Nazionale Fascista. Pino Romualdi scrisse, nella sua rievocazione personale di quel periodo, che la politica dell‟Uomo Qualunque «… fu dalla maggior parte della nostra gente appoggiata in parte per coprire il tempo di preparazione del nostro vero partito -come avvenne -e in parte per vedere dal vivo come reagivano gli italiani ad una martellante e intelligente propaganda denunciante fin d‟ allora i carrozzoni, le piccole ambizioni, il basso livello morale e politico dei partiti, dei loro leader e degli uomini più importanti della bolsa, falsa e vecchia democrazia italiana » 30.Nell‟ideologia corrente del F.U.Q., il regime fascista fu fino al 1936 salutare per il paese e Mussolini stesso si mosse come uno “ statista ineguagliabile”: «… opinioni tipiche del medio ”benpensante” italiano al quale il qualunquismo si rivolgeva… ».La decadenza avrebbe avuto inizio solo dopo il 1936, «… dopo quell‟ anno, [il fascismo] si era ridotto a “una camarilla di profittatori” e ad una dittatura ”rompitrice di corbelli”… » 31.Casi locali di filiazione diretta fra neofascisti e qualunquisti sono documentati 32a Napoli, con l‟ ingresso nel F.U.Q. di Edmondo Cione (unex allievo di Benedetto Croce successivamente schieratosi con la RSI), e a Milano, con l‟ arrivo alla segreteria del F.U.Q. di Antonio Cruciani, direttore del foglio neofascista “Senso Nuovo” (sorto nel 1945). Un protagonista diretto di quegli anni, MarioTedeschi, giornalista e promotore di numerosi fogli di destra radicale, nonché attivista in molti dei gruppi che pullulavano la scena negli anni quaranta-cinquanta, sostenne che i ”fascisti dopo Mussolini“ si organizzarono secondo tre modalità: «… l‟organizzazione di gruppi clandestini veri e propri, quella dei partiti di comodo che potessero agire mascherando l‟attività dei clandestini dietro una facciata democratica, quella dei nuclei fascisti inseriti nei principali partiti » 33). Un esempio di legame più diretto fra filofascisti e qualunquisti si manifestò nell‟esperienza del “Movimento Nazionalista per la Democrazia Sociale” (M.N.D.S.), fondato nel 1946 dall‟ex dirigente qualunquista Emilio Patrissi, un ex partigiano “autonomo”. Il “Movimento” era appoggiato localmente da alcuni fogli neofascisti (a Brescia, per esempio dalla già citata rivista “Ordine Nuovo”) ed era legato ai gruppi paramilitari della “Armata Italiana di Liberazione”, questi ultimi successivamente neutralizzati dai numerosi arresti.Il gruppo di Patrissi, dopo una prima stagione di contrapposizione, successivamente confluì nel partito neofascista. b) L’Identità neofascista nelle pubblicazioni clandestine e nelle rivisteIl movimento dei neofascisti, per molti organizzatori delle esperienze di questi primi anni del dopoguerra (fino al 1948), doveva essere incanalato nella dialettica elettorale, organizzarsi in tutto il territorio nazionale e evitare, temporaneamente, ogni scontro con le forze antifasciste. Che i fascisti intransigenti non riconoscessero questa posizione come punto di partenza non impedì di mantenere “gli antichi legami sentimentali”, come li definiva Mario Tedeschi 34. Questi legami venivano meno sulla questione del come agire in una situazione caratterizzata dall‟esclusione dall‟agone politico di ogni posizione esplicitamente neofascista. « Siamo sempre quelli del santo manganello -scriveva il foglio clandestino romano “Credere”, nel 1948 -Siamo i legionari di Spagna, d‟Africa, d‟Albania, di Russia: Siamo i repubblichini delle divisioni Graziani, i marò della Decima, i fedelissimi “Briganti Neri”, gli “M” vermigli del Tagliamento. Siamo e saremo sempre gli Uomini di Mussolini ». « Noi, non ci confondiamo con nessuno -gli faceva eco “Rivoluzione”, Foglio dei Fasci d‟Azione Rivoluzionaria dei Lavoratori, sempre pubblicato a Roma, e anch‟ esso datato 1948-mantenendo nelle nostre idealità e nelle nostre organizzazioni clandestine la più fanatica intransigenza rivoluzionaria. E allora la nostra causa trionferà perforza di cose…» 35.)V‟erano comunque le infinite sfumature possibili fra i “possibilisti” e gli “intransigenti”: si verificò spesso il passaggio di numerosi leaders da una posizione all‟altra ( per esempio Almirante che da posizioni dirigenziali del F.A.R. diventerà segretario del M.S.I.), dettato dalle opportunità tattiche o di prestigio; rimaneva, comunque, la fascinazione dell‟esperienza della clandestinità che si manifestò in ogni neofascista. Il culto dei caduti rafforzò certamente i vincoli fra i sopravvissuti all‟epopea “di sangue e di fede” ma non impedì i differenti percorsi dei neofascisti. Malgrado le dure contrapposizioni, la sconfitta del fascismo di Salò (l‟utopia concreta e l‟esperienza più vicina al neofascista sovversivo e romantico del dopoguerra) fu rielaborata e «… divenne una risorsa politica, uno strumento per la costruzione di una identità forte, eticamente fondata, in grado di sopravvivere alla disgregazione e alla ghettizzazione imposte dal regime democratico » 36.Nelle riviste legalitarie, come “Rivolta Ideale”, i neofascisti così si definivano: «… siamo quei fascisti che si sono battuti per dare all‟ Italia una legislazione sociale e sindacale, siamo i fascisti dei contratti collettivi di lavoro riconosciuti come leggi, dei sindacati concepiti come libere associazioni di liberi lavoratori democraticamenteorganizzate… siamo i fascisti che si sono battuti per la partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell‟impresa…che hanno concepito tutta una nuova struttura dello Stato fondata sul lavoro… ». Si trattava di riprendere, quindi, i temi già sviluppati dai fascisti repubblicani, di ribadire un‟identità di fascisti della “Sinistra Nazionale”, collocata nello «… spazio divisorio che esiste tra il blocco socialcomunista e la Democrazia Cristiana » 37. Solo nell‟ ideologia della “socializzazione” andavano ricercati quegli elementi di una coesione politica fra neofascisti. La coesione politica andava bene anche ai fautori della linea “possibilista” (un termine riferito alla posizione espressa da dirigenti favorevoli alla partecipazione e alla dialettica istituzionale) e alle numerose riviste organizzate dai gruppi favorevoli alla nascita del partito. Tutti i soggetti politici dell‟ ambiente neofascista s‟impegnarono a limitare a pochi momenti gli scontri ideologici. La costruzione di una ideologia unitaria improntata su alcuni orientamenti imprenscindibili (socializzazione, “terza via” e nuovo nazionalismo) fu spostata, nonostante le violente opposizioni di alcuni pubblicisti neofascisti, in un periodo successivo: i “legalisti” (coloro che erano favorevoli alla legalizzazione dell‟esperienza neofascista) premevano sull‟aspetto contingente dello scontro politico in atto, con le elezioni alle porte e la “legittimazione” possibile come forza d‟urto anticomunista. Una “destra fascista”, espressione di una sensibilità conservatrice, si venne a costituire così da una base più pragmatica e attenta alle chancesofferte dal contesto politico reale. A questa base corrispondonole idee e gli apparati di coloro che, da “corporativisti” avevano ripreso l‟attività politica senza passare dall‟esperienza di Salò. La “sinistra nazionale”, ferma su una visione ideologica, elaborò una concezione e una strategia d‟azione più attenta al conflitto, alla lotta intesa come luogo di formazione del “politico” e alla rottura degli schemi classici dell‟agire politico: importante fu anche la rivalutazione dei temi di un socialismo nazionale espresso dai concetti di “comunità”, “stato sociale” e “nazionalizzazione del bene pubblico”. Le posizioni del neofascismo originarionon si esauriscono nei “luoghi” politici classici (destra, sinistra e centro). Un‟altra dimensione venne stabilmente occupata da coloro che, ispirandosi alle idee di Julius Evola (1898-1974), rimasero “reazionari” e si costruirono un‟elaborazione eclettica e “metapolitica”, contraria ad ogni storicismo fascista, improntata su alcuni esempi provenienti dall‟esperienza antimoderna tentata dai fascismi europei. 3 Dal “Fronte dell’ Italiano -Rivolta Ideale” al “Movimento Sociale Italiano” (M.S.I.).La principale esigenza di tutte le varie organizzazioni, che si stavano ricostruendo attorno al progetto di un nuovo nazionalismo e con l‟esplicito compito di continuare gli idealie l‟azione politica della Repubblica fascista, fu quella di arrivare, in breve tempo alla formazione di un vero partito capace di aggregare, su base di massa, le numerose e differenti opinioni e militanze politiche inquadrabili in un spazio di destra non schiettamente conservatrice .“La difesa degli oppressi e dei perseguitati”, come scrisse un lettore del giornale diretto da Giovanni Tonelli, “Rivolta Ideale” (nelle lettere del numero del 22 novembre 1946), doveva essere opera di un partitoa base interclassista, dotato di una strategia orientata verso i ceti medi ed operai, e internazionalmente collocato contro l‟americanismo ed il sovietismo, specificando una “terza posizione” con riferimenti alla difesa della cultura europea e occidentale. Furono questi i temi che, anticipati dalla testata, saranno elaborati dalle altre realtà, confluite poi nel partito neofascista. Nel settembre 1946 venne fondato il “Fronte dell‟Italiano”, sul modello del “Fronte dell‟Uomo Qualunque”, sorto cioè come partito di opinione pubblica e caratterizzato da un esplicito invito alla tregua civile. In realtà l‟iniziativa nascondeva un progetto più ambizioso: portare, cioè, alla coagulazione di tutti i gruppi più o meno legati al reducismo attivo. ”Rivolta Ideale” si fece promotrice di quest‟ennesimo, minuscolo ed effimero partito, e il direttore Giovanni Tonelli fece sua la volontà di unificare i fascisti in vista dello scontro politico-istituzionale fra la sinistra e la Democrazia Cristiana, in funzione della costruzione di un fronte nazionale, più battagliero dei partiti moderati. La novità di questo partito va ricercata nel tentativo di definire un campo di militanti, il ”movimento dei reduci”, capace di opporsi alla luce del giorno, al dilagante sovversivismo bolscevico(come veniva definito su “Rivolta Ideale” il movimento politico-sociale della Resistenza). I fascisti ritornavano a far politica e a proteggere i propri “vissuto” e le proprie idee travolte dalla nuova democrazia, fondando piccoli partiti e numerose riviste di dibattito politico. La rivista romana “Dio e Popolo”, diretta da Vincenzo Marchi, costituisce un “Partito della Giovane Italia” nel 1946; segue un‟esperienza analoga a Bari, sempre nel 1946, con un settimanale denominato ”Manifesto”, organo del Partito Fusionista Italiano; a Roma, molte sono le testate che invocano una istituzione politica rappresentativa delle masse “non rassegnate” al corso antifascista ( “Rosso e Nero”, diretto da Antonio Giovannini; “Idea Nuova”, “Rataplan” e le riviste umoristiche e triviali come “La Bomba”, ”Brancaleone”, “L‟on. Palmilio” ecc.). a) Il Movimento Sociale Italiano.Un evento come quello che avvenne a Roma, il 26 dicembre 1946, in via Regina Elena, poteva essere confuso con un‟altra delle numerose sedute diqualche gruppo fascista. Tuttavia, una forte aspettativa per gli esiti dell‟incontro vi era per la presenza di alcuni “imprenditori politici” 38ed organizzatori culturali, ma anche per la presenza dell‟ex vicesegretario del PFR, Giuseppe Nettuno Romualdi( “un figlio di Mussolini”, come si definiva ), dell‟ex vice federale della capitale, Arturo Michelini e dell‟ex sottosegretario alla cultura della RSI, Giorgio Almirante e di Mario Cassiano e Giorgio Bacchi, che erano i rappresentanti di una formazione effimera chiamata “Movimento Italiano di Unità Sociale” (M.I.U.S.), nonché di Cesco Giulio Baghino, giornalista, e di Biagio Pace, un docente universitario ed archeologo.La riunione era, insomma, connotata da una forte volontà di superare le contraddizionifin allora emerse e avviare la costruzione del tanto agognato partito neofascista. Successivamente, nei primi giorni del 1947, in un altro incontro si ritrovarono esponenti della componente “rivoluzionaria”, come Almirante e Mieville, quelli orientati verso la legalità e la socializzazione, come Giovanni Tonelli (vero organizzatore dell‟iniziativa, direttore di “Rivolta Ideale”), Ernesto Massi docente all‟Università ”Sacro Cuore” di Milano). Aderirono anche il sindacalista di «… orientamento soreliano-corridoniano… » 39Ugo Clavenzani, uomini favorevoli ad uno sbocco più conservatore, come Arturo Michelini e Biagio Pace, nonché Mario Cassiano che, prima ancora del partito “sociale” del M.I.U.S., era il maggior teorico del ”Fronte Nazionale Italiano”, un progetto, rimasto sulla carta, di organizzazione di tutta la destra per costituire una diga anticomunista, nel caso che il legame fra democristiani e comunisti dovesse proseguire.Costituitosi come “Movimento Sociale Italiano” (M.S.I.), il nuovo partito si presentò, nei giorni successivi, con il simbolo funebre di un catafalco da cui uscivano tre fiamme (il bianco rosso verde della bandiera nazionale).Il movimento politico in costruzione si definiva «… un‟organizzazione ispirata ad una concezione etica della vita, che ha lo scopo di difendere la dignità e gli interessi del popolo italiano e di attuare l‟idea sociale nella ininterrotta continuità storica… » 40.Il documento più importante furono i dieci punti programmatici, pubblicato nel gennaio del 1947 41. Le tesi espresse in questi 10 punti erano favorevoli alla costruzione di un partito “di giovani”, socialmente orientato a favore dei produttori e dei lavoratori (“compartecipazione” alla produzione e “riparto degli utili” del capitale erano i termini usati nel documento) e portatore di una concezione interventista dello Stato 42.Era esplicito il debito alle esperienze del fascismo “diciannovista” e della Repubblica Sociale, che in ambedue i casi la “socialità” aveva senso solo all‟ interno della sfera statuale.Con la convocazione del primo Comitato Centrale, costituito dai membri partecipanti alla riunione di fondazione, il 15 giugno 1947, fu avviato il processo di strutturazione del partito: venne costituita una Giunta Nazionale Esecutiva 43(43), che suddivise l‟attività del partito in “settori” (i principali furono il “settore sociale-sindacale”, “combattenti e profughi”, “femminile” e “stampa e propaganda”); fu determinato il criterio di reclutamento degl‟iscritti (con relativa polemica fra i fautori di un partito “aperto” e chi era a favore di una rigida selezione) e fu eletto segretario Giorgio Almirante. La critica ai partiti, alla democrazia e allo Stato liberale, insieme alla posizione favorevole allo “Stato Nazionale del Lavoro”, quindi ad un socialismo nazionale concepito come “terza via” fra capitalismo e comunismo, costituivano i pilastri ideologici del gruppo almirantiano che traghettò il partito dalla sua fondazione al 1950, in un clima caratterizzato dall‟ acuirsi della lotta di classe,dalle tentate riforme del governo della solidarietà nazionale, dalla nascita della Repubblica, dall‟espulsione dei socialisti e dei comunisti dal governo e dalle elezioni del 1948 .I principali organizzatori del partito furono Tullio Abelli per il Piemonte, Goffredo Olivari per la Liguria, Danilo Ravenni per la Toscana, Alfredo Cucco per la Sicilia e Maselli Compagna per la Puglia, tutti uomini di provata fede fascista, anche se con diverse “sfumature” politiche. Il primo impegno del neonato movimento fascista fu la presentazione della sua lista nelle elezioni dell‟ottobre 1947 per il consiglio comunale di Roma: i neofascisti ottennero 24.903 voti (pari al 4% dei suffragi), portando in consiglio comunale Tonelli, Baroncelli e De Trotto.La campagna elettorale fu condotta con una tecnica “futurista”: su una camion in continuo movimento venivano lanciate parole d‟ ordini e slogan, e, radunatesi le folle, iniziava il comizio. Nel manifesto elettorale era scritto che bisognava «… ricondurre Roma all‟ antica dignità calpestata dall‟ occupazione straniera e dal servilismo e dall‟ abiezione morale… dalla faziosità imperante, generatrice di scandali e di ruberie… » 44. Il Movimento Sociale Italiano, in realtà si barcamenava fra le differenti ideologie, quella radicale dei “socializzatori”, che erano in maggioranza nelle sedi missine del nord Italia, e quella moderata del notabilato meridionale.I compromessi e le mediazioni fra le componenti e la dialettica politica, per motivi direttamente legate alle vicende nazionali e internazionali, orientarono il MSI verso il conservatorismo sociale e l‟anticomunismo, un campo politico già egemonizzato dai democristiani. Il partito svolse una funzione di opposizione alle sinistre e di “ricatto” al partito cattolico. Alla elezione del sindaco Rebecchini, esponente della Democrazia Cristiana, della capitale contribuirono gli eletti nelle file missine.L‟esistenza di un partito politico patriottardo, orgogliosamente anticomunista e non necessariamente e velleitariamente rivoluzionario, fu considerata un atoutdai numerosi notabili locali che entrarono nelle file dell‟M.S.I., con l‟intenzione di rappresentare le masse centromeridionali, almeno quelle orientate su una concezione di vita e improntate su una ideologia -espressione politica di una mentalità -derivata dal paternalismo, dal “familismo” e dal cattolicesimo reazionario.I gruppi nostalgici del fascismo e i reduci dell‟esperienza della RSI, fin dai primi del 1946, si organizzarono e trovarono nelle riviste e nelle organizzazioni fiancheggiatrici del Movimento Sociale Italiano, un “luogo” di ricomposizione della memoria e del loro “vissuto collettivo”.
Per gli ex militari dei corpi della RSI, come ricordava un diretto interessato, «… il fenomeno degli ex commilitoni che cercarono di trovarsi e di riunirsi, è caratteristico di tutti i paesi che ebbero un regime militaristico e subirono una sconfitta. Esso si accentua quando la sconfitta sia stata seguita da una guerra civile… » 45.Il neofascismo radicale iniziava un processo di lungo periodo all‟ insegna della continuità di alcuni valori che possono essere così riassunti: la natura eversiva dei referenti simbolici e materiali, con la conseguente scelta della clandestinità e della attività paramilitare, portava a concepire l‟ Ideain netta contrapposizione alla Democrazia; il carattere politico -esistenziale del neofascista era generato dalla guerra (e dal mito della guerra); la comunità di guerrieri e combattenti rappresentava una diversa concezione dei legami sociali,diversa dalla societasdei borghesi come dalla solidarietà di classe dei proletari; e infine, questa esperienza era un „esperienza-limite‟ che avrebbe portato all‟ «… orgoglioso senso di separazione, di non appartenenza al “mondo delle rovine” e al “deserto” della civiltà contemporanea, regno della quantità e delle masse indifferenziate, del dominio del denaro e del mercante » 46. Questi valori erano stati “interiorizzati” dai reduci.
b) L’ associazioni combattente e il sindacato nazionale (U.N.C.R.S.I. e C.I.S.N.A.L.)
La prima struttura collaterale del Movimento Sociale Italiano, per consistenza e importanza, veniva costituita nel 1949, anche se embrioni di associazionismo di ex reduci esistevano fin dall‟ estate del 1946. Fu istituita come una “organizzazione con scopi assistenziale”, di solidarietà e di aiuto per tutti coloro che avevano militato nelle file dei corpi armati dello Stato della repubblica sociale: fu denominata ”Unione Nazionale dei Combattenti della R.S.I.” (U.N.C.R.S.I.) e dotata di un suo statuto e di una organizzazione capillare (potevano partecipare tutti coloro che si erano “comportati da soldati”, erano esclusi i “traditori” e tutti coloro che erano “contrari alla nazione”).Presieduta dall‟ ex Capo delle Forze Armate dell‟ esercito RSI, il maresciallo Rodolfo Graziani, coadiuvato da Junio Valerio Borghese 47, ex comandante della X.a M.A.S. (la formazione militare che aveva come motto il dannunziano “Memento Audere Semper”), l‟ “Unione nazionale dei combattenti” per un periodo costituì il servizio d‟ordine del MSI, durante i comizi (successivamente il servizio venne organizzato dalle “Camicie Verdi”, costituite appositamente, nel 1955, dal commissario della Federazione di Savona, Romano Fassio).L‟associazione cercava di mantenere vivo il ricordo dell‟ultimo fascismo mussoliniano, con una serie di convegni, onoranze funebri, messe “in memoria”, manifestazioni e consacrazioni di lapidi, di monumenti e cimiteri in onore dei caduti di Salò, nonché con la pubblicazione di opuscoli e “notiziari” sugli uomini della RSI. Successivamente le divergenze fra le diverse posizioni all‟interno del partito ebbero ricadute anche fra gli organizzatori del reducismo: dalla U.N.C.R.S.I. si scisse, nel 1959, la “Federazione Nazionale dei Combattenti della RSI” (F.N.C.R.S.I.), guidata dall‟ ex comandante dei “Cacciatori dell‟ Appennino”, Arnolfo Languasco, «… un gruppo in qualche misura più critico verso la politica del MSI » 48; ma altre sigle comparvero a riorganizzare gli ex soldati di Salò e anche del Regime (nel 1955 toccò agli ex miliziani della M.V.S.N. organizzati sotto “Associazione Nazionale Arma e Milizia”, A.N.A.M.).La funzione di queste strutture fu importantissima non soltanto per i propositi di semplice conservazione dell‟idea fascista e per il mantenimento della linea politica coerente con gli ideali di continuità con la RSI e quindi per l‟esistenza dello stesso partito neofascista, ma anche perchè l‟indiscusso prestigio di cui godevano gli ex legionari e i camerati dell‟Unione Nazionale, si mutava, presso i nuovi militanti, in un potente collante ideologico in ogni ricorrente crisi del partito.Altra iniziativa, contemporanea alla organizzazione dei reduci, fu quella relativa al “reducismo sindacalista”: i numerosi quadri del sindacalismo fascista, rimasti fedeli all‟idea corporativistica e socializzatrice, costituirono, fin dal gennaio 1949, i “Nuclei aziendali d‟azione sociale” (N.A.D.A.S.), con risultati deludenti e con continue modificazione della strategia di iniziativa presso i lavoratori.Il primo di coloro che si occuparono di questo tema, su mandato del Partito, fu il sindacalista Ugo Clavenzani, ex membro del Gran Consiglio del Fascismo. Era un terreno difficile: in alcune fabbriche il discorso della socializzazione, colorato di “rivendicazionismo” operaio, fu indirizzato verso i lavoratori qualificati.La relativa autonomia goduta nel poco tempo d‟esistenza di questi organismi, guidati da esponenti della sinistra nazionale di Almirante, ebbe come effetto una relativa diffusione delle tesi “compartecipazioniste” del sindacalismo integrale, le dottrine di politica del lavoro espresse da Ugo Spirito, sicuramente il principale punto di riferimento dei “nuovi sindacalisti” nazionali espressi dai N.A.D.A.S. (prima ancora l‟azione “sindacale” era affidata ai “Raggruppamenti giovanili Studenti e Lavoratori”, che diedero all‟ iniziativa una netta impronta di “socializzazione integrale”). Le tesi dei sindacalisti N.A.D.A.S. possono essere sintetizzate nel seguente modo: con la trasformazione e la complessità della divisione del lavoro e della dimensione dell‟impresa, solo una partecipazione(una compartecipazione di tutti i soggetti della produzione, i “produttori”) al processo del lavoro e alla divisione degli utili ricavati dai beni venduti e scambiati nel mercato poteva garantire un superamento dei conflitti fra capitale e lavoro, nel nome di “superiori interessi” nazionali. Questo “corporativismo della gestione socializzata”, come veniva definito nel programma del marzo 1949 dei N.A.D.A.S., avrebbe funzionato in ogni sistema industriale grazie all‟apporto del “fronte unico dei produttori” ossia da coloro che avrebbero accettato questo modello di organizzazione della fabbrica, dove secondo, i canoni dettati dagli “economisti” corporativi (i ”tecnici” designati dall‟alto, dallo Stato). Tutti sarebbero diventati proprietari: si tratta insomma di un sistema che si reggeva su un‟ispirazione tecnocratica.Il principale teorico e coordinatore dei N.A.D.A.S. fu Ernesto Massi, le cui tesi favorevoli al controllo dei tecnici e degli operai (in una sorta di cogestione della fabbrica), si scontravano con gli interessi più “padronali” e confindustriali, appoggiati dall‟ala moderata del Movimento Sociale Italiano. Egli rifiutava queste critiche, perché considerava il suo lavoro nel solco del “fascismo sociale”. Si allontanava per breve tempo dal partito, non rinunciò a queste concezioni. Successivamente, proprio per contrasti sul sindacalismo, altri missini uscirono nel 1956 dal MSI fondando il “Partito del Lavoro”.Diverse erano le tesi avanzate dai “corporativisti ortodossi”, che concepivano il sindacato come una delle due componenti (l‟altra era l‟ associazione imprenditoriale) della corporazione, che non consentiva nessuna autonomia e che configurava un sindacato finalizzato agli interessi ello Stato. I conflitti iniziati con queste divisioni teoriche fra “compartecipazionisti” e corporativisti moderati, riflettevano in realtà la generale collocazione del partito neofascista nello spazio politico italiano; furono superati solo con la fondazione a Napoli della “Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori” (C.I.S.N.A.L.), nel marzo 1950, sotto la direzione dell‟ ex presidente della “Confederazione Fascista dei Lavoratori dell‟ Industria” Giuseppe Landi, e con la presidenza di Gianni Roberti, deputato del MSI fin dal 1948.Questa istituzionalizzazione dei rapporti di forza fra “socializzatori” e “corporativisti” attuata dal congresso vinto dai moderati di De Marsanich, e l‟esautorazione dei giovani dirigenti della “socializzazione integrale”, con l‟ assorbimento dei N.A.D.A.S. nel sindacato, ebbe un effetto di notevole crescita dei gruppi nazional-sindacali: nel 1951 si contavano 300 mila aderenti e 270 sindacati provinciali 49. La C.I.S.N.A.L., essenzialmente, «…si ispirava alla dottrina e al sindacalismo nazionale, che a sua volta si richiama alle concezioni sociali mazziniane ed al sindacalismo rivoluzionario di Corridoni » 50, non rinnegando la storia del sindacalismo fascista ma cercando di rivitalizzare il “principio nazionale”, contro l’ affermazione del “principio di classe” del sindacalismo antifascista.

29 aprile 1945. Piazzale Loreto. I corpi senza vita di Benito Mussolini e Claretta Petacci e altri esponenti della Repubblica Sociale

1) Pier Giuseppe Murgia, Il Vento del Nord .Episodi e cronache dopo la Resistenza., Sugar ed., Milano, 1975, pag. 150
2) Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia.(1943-1945),ed. F.P.E., Milano 1965-1966, vol. 2°, pag. 237. Si tratta di un testo elaborato da personali ricerche dell‟ allora segretario del gruppo neofascista della “Giovane Italia”, organizzazione giovanile del MSI.
3) Pier Giuseppe Murgia, Il Vento del…,cit. pag. 151
4Domenico Leccisi fu un ex dirigente sindacale durante la RSI e uno dei primi neofascisti che subì un processo giudiziario: fu condannato per “i fatti del Cimitero del Musocco” nell‟ aprile del 1946, ovvero per il trafugamento della salma di Benito Mussolini.
5) Una ricostruzione di alcuni episodi in:Roberto Chiarini e Paolo Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia. Blocco d’ ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974).Franco Angeli, Milano 1985 (II ed.), pag. 64 Angelo del Boca -Mario Giovana, I Figli del Sole. Cinquant’ anni di nazifascismo nel Mondo.Feltrinelli, Milano 1966, pag. 188-198.
6) Angelo Varni, Il Neofascismo e l’ estrema destra, (in Milano, anni cinquanta),F. Angeli, Milano, 1986, pag. 510. Pino Romualdi, uno dei fondatori del partito neofascista, così venticinque anni dopo ricordava quest‟esperienze: « Noi che alzavamo quella bandiera; noi che già avevamo fin dai primi mesi dopo l‟aprile del 1945 partecipato -più o meno clandestinamente, ognuno a seconda della propria situazione personale-a iniziative di ognigenere; noi che per dimostrare agli Italiani di essere ancora vivi, avevamo issato bandiere nere sulle torri; parlato alla Radio di Roma e ai giornali luminosi a Milano, interrompendo con la forza, con colpi di mano le normali trasmissioni, noi che avevamo saputo dimostrare ai nostri avversari e agli Italiani la nostra indomita vitalità, la nostra capacità di difenderci e di offendere…» (Pino Romualdi, La nostra alternativa…, in “il Secolo d‟Italia”, 23 gennaio 1973.
7) Angelo Varni, Il neofascismo e l’ estrema destra…,cit. pag. 511
8) Un reduce, Ugo Franzolin, protagonista della successiva riorganizzazione del partito neofascista, intitolò il suo memorialeIl Repubblichino(ed. il Falco, Milano 1985)
9) Reduci dell‟ esperienza di Salò. Pino Romualdi fu vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano; Giorgio Almirante era stato un giornalista, collaboratore de “La Difesa della Razza” (rivista degli anni trenta, diretta dal razzista Giovanni Preziosi) e de “Il Tevere”: fu, durante la RSI nominato, sottosegretario al Ministero della Cultura Popolare. Roberto Mieville fu “volontario universitario” della guerra fascista, ex ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana. Internato in un campo di rieducazione angloamericano, partecipò alla riorganizzazione neofascista. Morì in un incidente automobilistico nel 1955.
10) L‟ articolo di “Rivoluzione. Foglio dei fasci d‟ azione” è riprodotto in: Pier Giuseppe Murgia, Il vento del…,cit. pag. 280
11) Su “Credere, foglio fascista di pensiero e azione”, organo dei F.A.R., nel gennaio 1948 era stato scritto:«… abbiamo costruito il nostro tempio suberbo: il tempio del fascismo risorto!»
12) Chiarini Corsini, Da Salò a …,cit. pag. 73
13) Il documento integrale è riprodotto in: Chiarini -Corsini, Da Salò a…, cit. pag. 390-395
14Sul ”carattere neofascista”: Franco Ferraresi (a cura di.), La Destra Radicale, Feltrinelli Milano 1984, pagg. 20; una continuità, accettata all‟ interno dei militanti (inner group),delle espressioni caratteriali del fascismo originario con le ultime propaggini spontaneiste degli anni settanta, fu proposta dal neofascista Adalberto Baldoni, Noi Rivoluzionari, Il Settimo Sigillo, Palestrina (Lazio), 1986, pagg. 12-15
15) Quest‟ espressione è di Marco Tarchi, Esuli in Patria. Fascisti nell’ Italia Repubblicana, Guanda Parma 1995.
16) Sugli attentati: Daniele Barbieri, L’agenda nera. Trent’ anni di neofascismo in Italia,ed. Coines Roma 1976, pagg. 30-40; A. Varni, Il Neofascismo e l’ estrema destra, cit. pagg. 504-514; P.G. Murgia, Ritorneremo!, cit. 140-150 e 180-190; Piero Ignazi,Il Polo escluso. Profilo del MSI, il Mulino Bologna 1989, pag. 20
17) Naturalmente spesso si sono verificati casi di doppia militanza, ovvero come ”legalista” e “clandestino”, per esempio il “generale” dell‟ “Esercito Clandestino Anticomunista” Ferruccio Gatti era un mediatore e organizzatore del P.D.F. di Leccisi ( che aveva abbandonato la linea “cospirativa” e stava confluendo fra i legalisti del MSI ).
18) Roberto Chiarini -Paolo Corsini, Da Salò a… , cit. pagg. 70-71.
19) Roberto Chiarini -Paolo Corsini, Da Salò a…, cit. pag. 60.
20) P. G. Murgia, Il Vento del…, cit. pag. 209
21) P.G. Murgia, Il Vento del…, cit. pag. 220-21
22) P.G. Murgia, Il Vento del…, cit. pag. 212
23) Gli attentati che, tra il 1950 e il 1951, furono attribuiti alla “Legione Nera” (secondo i dati raccolti dalla Questura di Roma furono 33) presero mira obiettivi diversificati. Una prima serie di bombe furono fatte esplodere a Piazza Colonna, a Roma, il 28 ottobre 1950 (giorno della Marcia su Roma), mentre il 10 novembre ci furono altre esplosioni nelle sedi del PRI e PSI del quartiere Nomentana. La seconda serie di attentati iniziò il 12 marzo 1951, con diverse esplosioni in città e in provincia. Il questore Polito e il capo ufficio D‟ Amato, per questi attentati, arrestarono diverse persone: Enzo Erra, Cesare Pozzo, Clemente Graziani, Egidio Sterpa, Franco Petronio, Julius Evola, Pino Rauti, Fausto Gianfranceschi, Roberto Gionfrida e il segretario di una sezione del MSI, Antonio Cucci. Solo i “legionari neri” Gianfranceschi e Graziani furono condannati.
24) Guglielmo Zatti (nato a Brescia nel 1907) fu un ideologo e un precursore di molti atteggiamenti del nuovo radicalismo di destra. Critico del Fascismo per le sue relazioni con la Monarchia, studiò alla Sorbona di Parigi e fu vicino ai gruppi comunisti francesi, in un primo momento, e ai trotskisti spagnoli, da cui ne fu allontanato. Tornato in Italia si iscrisse al Partito Nazionale Fascista. Fin dal 1942 organizzò con alcuni militanti comunisti un “gruppo di azione rivoluzionaria” e nel 1944-45 fondò la rivista clandestina “Vivi”. Dopo la Liberazione diresse la rivista del PCI “La Verità” ( il nome della pubblicazione rievocava la rivista di Nicola Bombacci, anche questi ex comunista, diventato consigliere del duce). Espulso dal PCI, per alcune rivelazioni sulla sua attività di divulgatore della dottrina razzista del Regime, si dedicò attivamente alla sua casa editrice dove pubblicò Vladimir Lenin, i nazionalisti francesi, August Bebel e Antonio Labriola. Con la pubblicazione di “Ordine Nuovo”, il “settimanale diopposizione integrale”, Zatti elaborava (in “Capisaldi di Orientamento”, in “Ordine Nuovo”, novembre 1946) una concezione che faceva della classe operaia nazionalizzata e della piccola e media borghesia i pilastri della nuova Italia (possubilmente antidemocratica). Per ulteriori informazioni vedere Roberto Chiarini -Paolo Corsini, Da Salò a…,pagg. 57-60
25) Chiarini -Corsini, Da Salò a…,cit. pag. 59
26) Piero Ignazi, Il Polo Escluso…,cit. pag. 32
27) Sandro Setta, L’ Uomo Qualunque 1944-48, Laterza Bari 1975, pag. 120. Col 5,3%, 30 seggi (un milione e duecento mila voti), nelle Elezioni per l‟ Assemblea Costituente, 2 giugno 1946, il Fronte dell‟ Uomo Qualunque, diventò il V° partito della nuova Repubblica Italiana (Paolo Farneti, Il Sistema dei partiti in Italia, il Mulino Bologna 1983, pag. 37
28) Sia Giannini, direttore del “Merlo Giallo”, che Giovanni Tonelli, furono pubblicisti negli anni trenta: Il primo essendo non gradito ai mussoliniani, dovette fuggire prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale a Parigi.
29) Roberto Chiarini -Paolo Corsini,Da Salò a…, cit. pag. 56
30) L‟ articolo fu scritto in occasione dei venticinque anni del MSI: Pino Romualdi, “La nostra alternativa…” , Il Secolo d‟ Italia, 23gennaio 1972
31) Mario Giovana, Le Nuove Camicie Nere,edizioni dell‟ Albero, Torino, 1966, pag. 25. L‟ autore, nel suo pamphlet, cita articoli dell‟ “Uomo Qualunque” per definire la suddetta posizione sul regime fascista.
32) Piero Ignazi, Il Polo escluso…,cit. pag. 34
33) Mario Tedeschi, Fascisti dopo Mussolini, ed. L‟Arnia, Roma 1949 [1950], pag. 17
34) Mario Tedeschi,Fascisti dopo Mussolini…, cit. pag. 20
35) Le affermazioni degli intransigenti sono riportate da M.Giovana, Le Nuove Camicie…, cit. pagg. 49-50
36) Franco Ferraresi, Minacce alla democrazia. La Destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Feltrinelli Milano 1995, citazione pag. 71
37) Anonimo, Sinistra Nazionale, in “Rivolta ideale”, anno II, 3 luglio 1947
38) P. Ignazi, Il Polo escluso…, cit. pag. 29
39) Ugo Cesarini, Dai F.A.R. al “doppio petto,ed. P.d.L., Perugia 1991, cit. pag. 28
40) M. Giovana, Le nuove camicie…, cit. pag. 48
41) Giorgio Almirante nella sua Autobiografia di un “fucilatore”(ed. del Borghese, Milano 1974) che i dieci punti programmatici «… f ino al 1948, campagna elettorale e poi primo congresso del partito a Napoli, costituirono tutto il nostro programma » (cit. pag. 147)
42) In realtà si trattava di una funzionalità della sfera statuale che imponeva sempre il primato dello Stato: « La verità è che lo Stato moderno non può sottrarsi al dovere di intervenire, anche vastamente e pesantemente nella economia… », ribadivano Almirante e Palamenghi-Crispi ( Il Movimento Sociale….,cit. pag. 21).
43) Per Piero Ignazi la Giunta Nazionale Esecutiva era composta «… da elementi di basso profilo politico». Lo stesso comitato Centrale era composto da membri presenti alla seduta del giorno 15 giugno 1947 (P. Ignazi, Il Polo escluso…, cit. pag. 38)
44) Almirante -Palamenghi Crispi, Il Movimento Sociale…, cit. pag. 32
45Mario Tedeschi, Fascisti dopo Mussolini, cit. pag. 2246Marco Revelli, La Destra Nazionale, il Saggiatore, Milano 1996, cit. pag. 14
47) In una intervista rilasciata poco prima di morire il Principe Nero, come era nominato negli ambienti neofascisti, così dichiarò l‟ anziano ex militare: « Tutto il periodo della RSI è stato particolarissimo anche per il tipo di umanità che è affluita sotto le armi in quella fase. I volontarisi spogliavano di ogni interesse terreno ed erano animati esclusivamente dall‟ impegno di conseguire un risultato puramentespirituale. Essi volevanomettere in luce lo spirito di combattivitàdell‟ italiano che non si rassegnava ad un armistizio giudicato obbrobrioso, ma intendeva far vedere di saper morire combattendo contro il nemico… »( Giampaolo Pansa, Borghese mi ha detto,Palazzi ed. Milano 1971, pag. 18).
48) Franco Ferraresi, Minacce alla Democrazia, cit. pag. 59. A conferma della rottura politica fra i reduci, nel 1966, in occasione del ventennale del MSI la FNCRSI distribuì un volantino intitolato “Vent‟anni anni di MSI al servizio della democrazia ciellenista ed antifascista”. Nel testo così era scritto: « Con una politica di partito servile, bottegaia e rinunciataria, senza una politica sindacale, con una tattica elettorale meschina, ispirata dagli interessi personalistici di avventurieri senza scrupoli al missismo imbelle non resta, dopo vent’ anni che trascinarti a rimorchio dei galoppini elettorali di Umberto Savoia ». Il documento concludeva che ogni camerata doveva porsi «… fuori dal corrotto e incapace MSI » ( il volantino è riprodotto in Ugo Cesarini,Dai Far al…,cit. pag. 96).
49I dati sono forniti da: Giorgio Almirante -Francesco Palamenghi Crispi, Il Movimento SocialeItaliano, Nuova Accademia, Roma 1958, pag. 52
50) Almirante -Palamenghi Crispi, Il Movimento Sociale…, cit. pag. 51.

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