“FAR DURARE GLI SCIOPERI: LE LEZIONI DELLA STORIA” (parte prima)

Mentre oggi sono in atto diversi scioperi a Parigi e dintorni, la vicenda della riforma delle pensioni in Francia vede un grande attivismo attorno allo studio di impatto richiesto dalle centrali sindacali e presentato venerdì, suscitando pareri molto diversi (https://www.liberation.fr/france/2020/01/28/critiques-contre-la-reforme-sur-les-paves-les-pages_1775849). In attesa di vedere cosa succederà, mi sembra interessante rilanciare questo articolo di Gaspard d’Allens pubblicato il 21 gennaio scorso da

Reporterre.net:

FAR DURARE GLI SCIOPERI: LE LEZIONI DELLA STORIA”

Lo sciopero contro il progetto di di riforma delle pensioni segna il passo dopo poco più di quaranta giorni. La colpa è lo strangolamento economico dei militanti, malgrado le casse di sostegno agli scioperi. Molto tempo addietro però, nella storia del movimento operaio, l’autonomia alimentare ha permesso di cogliere grandi vittorie sociali.

All’allegria dei primi giorni segue la fatica. Lunedi 20 gennaio, lo sciopero è stato sospeso alla RATP sulla maggioranza delle linee della metropolitana. Alla SNCF (le ferrovie, ndr), la percentuale degli scioperanti non è mai stata così bassa da molte settimane.L’assenza di sbocchi, le violenze poliziesche e l’ostinazione del governo a imporre la sua riforma sono altrettante ragioni che spingono al calo del movimento. Dopo più di quaranta giorni di sciopero, la precarietà corrode anche gli spiriti ed oscura l’orizzonte. Nei cortei e sui picchetti degli scioperanti una domanda serpeggia: come sopperire ai bisogni elementari e continuare a nutrirsi, a riscaldarsi e avere una casa senza salario? Come pagare le bollette?

Se lo sciopero attuale ha causato un sussulto di solidarietà, con la moltiplicazione delle casse di sostegno, essa ha anche rivelato la nostra dipendenza nei confronti del lavoro salariato, in una società sempre più urbana e mercantile. Tagliata dal mondo rurale e incatenata al credito, è divenuto molto difficile liberarsi dal lavoro ed emanciparsi. “Senza salario alla fine del mese, noi non abbiamo più niente. Siamo spossessati dei nostri mezzi di sussistenza e abbiamo perso ogni forma di autonomia materiale”, ha detto a Reporterre, il ricercatore François Jarrige.

In una conversazione con Liberation, anche lo storico Gerard Noiriel lo riconosce:”oggi, noi non possiamo più permetterci di organizzare scioperi lughi”. I crediti al consumo e l’accesso alla proprietà ci hanno rinchiuso in un modello in cui viviamo “con una flebo”. Il movimento sociale ne risulta più fragile e l’esperienza di una vita, fuori dai ritmi convulsi della fabbrica o dell’impresa, è resa piàù complessa.

LE FABBRICHE ERANO INSERITE NELL’AMBIENTE RURALE

Non è sempre stato così. Ci fu un tempo in cui gli operai avevano i mezzi per sostenere lo sciopero. Grazie, soprattutto, al loro legame con la campagna e i contadini. Il loro radicamento offriva una migliore capacità di resistenza. Le statistiche lo testimoniano. Da 16 giorni fino agli anni ‘30, la durata media degli scioperi è caduta a 2,5 giorni dopo la seconda guerra mondiale. Quella cifra non ha poi smesso di calare. “I conflitti sociali nel settore privato sono ormai molto corti e gli scioperi di più giorni estremamente rari, constata lo storico Stéphane Sirot. Essi hanno lasciato spazio ad altre pratiche più puntuali, come la giornata d’azione e lo sciopero selvaggio, che consiste nel bloccare solo qualche ora, a volte qualche minuti la catena”.

Nel libro “Costruire l’autonomia”, che racoglie gli articoli della rivista libertaria “Offensive”, gli autori sottolineano che in questi ultimi decenni, “le nostre vite sono gravate da oggetti”. La crescita dei nostri bisogni ha avviato una forma di alienazione. “Molti impiegati hanno già speso laloro retribuzione appena caricata sul loro conto corrente: Rate del mutuo. Rate dell’automobile, rate del divano, scoperto bancario, carta blu a debito differito… Chi oggi può sospendere la propria attivita salariata dall’oggi all’indomani?” se chiedono. Il cappio ci stringe. “Il modo di vita piccolo borghese ha invaso il nostro immaginario – ritiene Stephane Sirot – Abbiamo guadagnato in comfort ma perso in conflittualità”. Noi siamo più fragili e dipendenti dalla paga del padrone”.

All’inizio del secolo, gli operai in lotta prendevano la chiave dei campi. Possedere personalmente una particella di terra coltivabile era allora una formidabile cassa degli scioperi: forniva di che vivere a quelle e quelli che non avevano più mezzi di sussistenza. Essa permetteva di sottrarsi alla minaccia della miseria. Gli operai attendevano d’altrone l’estate per scioperare! “Essi facevano coincidere il tempo degli scioperi con quello dei raccolti – racconta lo storico François Jarrige – e compensavano la loro perdita di salario inestendo nell’attività agricola”.Reporterre vi propone di rifuffarvi in questa storia misconosciuta, scritta neli grandi racconti di lotta. “Gli storici si sono interessati molto alle dichiarazioni rilasciate durante gli scioperi e alle ragioni che li spingevano alla mobilitazione, menoalle loro condizioni pratche e alla possibilità della loro sostenibilità”., sottolinea François Jarrige. Una questione essenziale e intrinsecamente legata all’ecologia. “Per essere liberi politicamente bisogna essere autonomi materialmente”.

Questo problema era stato preso in considerazione dagli operai dell’epoca. La sovranità alimentare era allora una “arma fondamentale della lotta”, come sostenevano nel 1905 gli operai di Longwy, in Lorena. “I pasti presi insieme alimentano l’entusiasmo e esaltano la solidarietà operaia”, scriveva il teorico del socialismo Paul Lafargue su L’Humanité del 6 giugno 1908. Nel 1901, a Montceau-les-Mines, nel dipartimento Saône-et-Loire, lo sciopero è durato più di quattro mesi. Per resistere, bisognava fornire 20.000 pasti ogni giorno agli scioperanti privati di reddito. Delle squadre partivano per approviggionarsi nella campagna. Altri negoziavano prezzi bassi coi commercianti. Dei raccoglitori di derrate andavano dagli agricoltori con un carro a mano per raccogliere dei doni.

Sino alla fine del XIX° secolo, “le fabbriche erano inserite nell’ambito rurale” – ricorda la storica Mathilde Larrère – la divisione tra il mondo operaio e quello contadino è avvenuta molto lentamente”. In Pacardia, come nel Var o nel paese di Montbéliard, molti operai continuavano ad abitare in campagna. Le loro donne gestivano una piccola fattoria e gli uomini si dedicavano al lavoro nei campi tornando dalle fabbriche.

I contadini della Creuse, diveuti celebri a partire da metà del XIX° secolo grazie al deputato Martin Nadaud, facevano avanti e indietro tra Parigi e i loro villaggi per la raccolta del grano o per battere il raccolto. Nel suo libro Les luttes et les rêves, une histoire populaire de la France, Michelle Zancarini-Fournel nota anche che “la tessitura, l’industria della pipa o l’industria degli orologi nella montagna del Jura realizzavano l’associazione tra la stalla e il banco di lavoro”. La ricercatrice racconta come, nel Var, i vignaioli si facevano assumere dalle 7 alle 17, prima di andare a curare le loro vigne. Essi prendevano “dei permessi di congedo” per la vendemmia.

OGGI NON SARA’ CARREFOUR AD AIUTARE GLI SCIOPERANTI

Anche i bacini minerari si trovavano nelle campagne. Prima che il mestiere si professionalizzasse e si trasmettesse di padre in figlio, i minatori erano tutti contadini. Essi compensavano i tempi morti dell’attività agricola andando a cercare del carbone nelle ciscere della terra. D’altronde, niente li predestinava a farsi assumere alla miniera. Cercando negli archivi, Michelle Zancarinio-Fournel ha mostrato l’ostilità dei primi lavoratori a scendere nelle profondità.

Non avevo assolutamente la vocazione per questo strano mestiere di minatore. Probabilmente per il mio legame con la terra ereditato da mia madre, dato che nessun atavismo ancestrale mi spingeva ad andare a cercare il carbone a 400 metri nel sottosuolo.”

Archivio della Federation du sous-sol, manoscritto anonimo

Al contrario del lavoro salariato, la poliattività, alla fine del XIX° secolo apportava al popolouna più grande libertà. Un margine di manovra più importante per le rivendicazioni. “La notevole combattività dei macellai del Var, nel 1869, si spiega in parte con i benefici che essi traevanodalla coltivazione di piccoli appezzamenti di terra e la possibilità di lavorare come giornalieri agricoli o come macellai”, così analizza Stephane Sirot. Nel corso della lotta, una cucina comune forniva 300 pasti al giorno. Lo scioperò durò molti mesi.

In un reportage da Montceau-Les-Mines, nel 1901, l’inviato speciale dei Cahier de la quinzaine, rivista diretta da Charles Péguy, André Bourgeois rilevava che i minatori in sciopero”godevano di una certa abbondanza”. In gran parte possedevano la loro casa e un giardino, “dal quale traevano legumi e frutta, dei conigli, una dozzina di galline, setto o otto anatre. Potevano così resistere molti mesi senza paga”.

 

Comments are closed.