Ci ha lasciato una grande compagna, Carmen de Min, mamma antifascista del Leoncavallo
Rilancio l’articolo de Dinamopress, ne ringrazio per questo articolo che mi ha fatto tornare indietro nel tempo ricordando una carissima compagna, Carmen, sempre al fianco di chi lottava. Anche in questo articolo viene fuori la stoffa della combattente che non dimentica le altre compagne di lotta. Fu lei a dar vita alle Mamme del Leoncavallo, un’esperienza fondamentale in anni in cui Milano era una grande fucina di lotte e non posso non ricordare lei e le altre Mamme con profondo affetto e gratitudine. Contrariamente a quanto faccio di solito, non cercherò immagini da aggiungere, prevale in me l’urgenza di pubblicare questo ricordo di una grande compagna.
6 Febbraio 2022
Compagna conosciuta e amata nel movimento milanese era nata in provincia di Belluno nel 1934. Attraverso le figlie e poi l’omicidio di Fausto e Iaio si era avvicinata al centro sociale Leoncavallo, come racconta questo articolo biografico scritto da Adriana Maestrelli Meyer e pubblicato sull’«enciclopedia delle donne»
Sono nata nel 1934 in un paese della provincia di Belluno, vicino a Vittorio Veneto. Durante la guerra ne ho viste di tutti i colori. Era un paese a 700 metri lungo la Val D’Alpago, un posto pieno di partigiani che combattevano sulle montagne nei dintorni.
La mia famiglia era antifascista da un mucchio di tempo. Se penso alla violenza che le SS e le camicie nere facevano nella mia zona, mi viene ancora oggi da rabbrividire… Gli uomini dai 16 ai 45 anni erano tutti spariti, o li internavano nei campi di concentramento in Germania o se li portavano via per lavorare nelle loro fabbriche. Mio padre era ormai anziano e non gli fecero nulla, così ai miei fratelli in quanto molto giovani. Ma cugini, zii, amici e conoscenti scomparvero nel giro di pochi mesi nell’autunno del 1943. Molti non sono più tornati.
I partigiani che scappavano dalla pianura venivano spesso a rifugiarsi nelle grotte dalle mie parti, mio padre li aiutava a trovare i nascondigli più sicuri. Non c’era abbastanza da mangiare neanche per noi, eppure un po’ di polenta dovevamo sempre avanzarla per qualche partigiano. Ma c’erano delle spie in paese e più di una volta fummo prelevati dai fascisti dentro casa e poi costretti ad andare contro un muro con i mitra puntati addosso. Rivolgevamo loro la schiena e sentivamo caricare le armi… Volevano sapere dove erano nascosti i partigiani. Fingevano di ucciderci come in un plotone di esecuzione. Al muro mia madre, mio padre, i miei fratelli più piccoli e io.
Per forza sono cresciuta antifascista convinta !! Nel dopoguerra mi sono trasferita in Svizzera per lavorare e verso l’inizio degli anni Sessanta sono arrivata a Milano. Mia figlia Ornella era nata nel 1957 e Manuela nel 1958. Nel 1962 mi sono iscritta al sindacato, a quei tempi partecipare all’attività sindacale non era semplice, dovevi agire in semi-clandestinità altrimenti c’era il rischio del licenziamento. La parola d’ordine di allora era: «Dobbiamo resistere due minuti più del padrone».
A Milano abitavamo in via Guerrini, non lontano dal Casoretto. Proprio sotto casa c’era una sede del Msi. Quando le mie figlie hanno cominciato a uscire da sole subivano delle provocazioni dai fascisti, dovevano sempre stare attente e io avevo i denti avvelenati. Nel 1976 tutte e due hanno iniziato a frequentare il Centro Sociale Leoncavallo, erano ancora minorenni e io stavo in pensiero. Magari tornavo tardi dal lavoro, non le trovavo e così andavo a cercarle… Le vedevo lavorare al ciclostile o fare striscioni per i cortei, non mi facevo neanche notare perché ero contenta di vederle così attive a quella loro giovane età. Ero tranquilla insomma. Manuela andava alla magistrale in piazza Novelli insieme a Iaia: pranzavamo molte volte tutte insieme prima del mio turno pomeridiano. Tante sere venivano tutti a casa mia, Iaia, suo fratello Iaio e altri giovani compagni a suonare la chitarra con le mie figlie o a organizzare riunioni e manifestazioni.
Siamo diventati così amici…Era il 18 marzo del 1978. Due giorni prima di quel sabato, il giorno dell’assassinio di Fausto e Iaio, c’era stato il sequestro di Aldo Moro e il clima, sia per le strade che sul lavoro era parecchio teso. Non mi dimenticherò mai quello che ho sentito al telegiornale: «Sono stati uccisi due ragazzi al Casoretto per un regolamento di conti tra drogati». Mi pareva strano. Solo la mattina ho saputo con sgomento che erano proprio Fausto e Iaio i compagni assassinati!«Non è vero! Non è vero!», non potevo crederci, non era possibile… Ho pianto poco, perché una rabbia micidiale mi soffocava: loro semmai stavano lavorando a un libro bianco contro gli spacciatori!
… Mi salivano alla mente gli incubi peggiori. Rivedevo le immagini del mio paese in tempo di guerra, conoscevo bene la ferocia dei fascisti. Gli assassini non potevano che essere loro, ne ero certa. Pensavo: «Adesso inizieranno a uccidere i compagni in giro per le strade…» Il telegiornale non parlava già più di Fausto e Iaio, le notizie si concentrarono esclusivamente sulle indagini per Aldo Moro… Non mi davo pace.
Dovevo fare qualcosa!
This entry was posted on martedì, Febbraio 8th, 2022 at 21:59 and is filed under General. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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