Lo stragista di Utøya scrive dal carcere a gruppi neonazisti ma anche alle mancate vittime

Le settantasette vittime delle stragi di Oslo e Utøia

Il 22 luglio 2011 è la data in cui Anders Breivik mise a segno due clamorosi attentati sanguinari. ll primo attacco avvenne in pieno centro ad Oslo. Un’autobomba di fronte ad alcuni edifici del governo norvegese, esplose alle ore 15:25 provocando la morte di 8 persone e 209 feriti.

Ancor più spietato il secondo attacco, meno di due ore dopo sull’isola di Utøya dove era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese: indossando un’uniforme simile a quella della polizia aprì il fuoco sui partecipanti uccidendone 69 e ferendone 110.

Al termine del processo Breivik fu condannato a 21 anni, pena massima prevista dal codice penale norvegese, che sconta in una situazione ben diversa da quello che si può pensare avendo in mente le carceri italiane. E proprio dal carcere Breivik intrattiene una fitta corrispondenza.

Nei giorni scorsi NRK.no, il sito della televisione norvegese, ha pubblicato un articolo  in cui si dice tra l’altro che fino al 2016, “Breivik ha inviato e ricevuto circa 3.000 lettere. La corte ha poi concluso che era necessario un rigido regime di controllo, al fine di impedirgli di stabilire contatti con persone che la pensano allo stesso modo al di fuori del carcere.”.

Adesso, però, le autorità norvegesi devono occuparsi delle lettere con cui, con lettere maiuscole scritte a mano, saluta le sopravvissute e i sopravvissuti nella parte superiore della sua lettera prodotta in serie. La lettera al Gruppo di supporto del 22 luglio è composta da otto pagine fittamente scritte di propaganda del potere bianco. Lettere come questa vengono inviate anche alla Lega dei Giovani Lavoratori (AUF ), ai rappresentanti parlamentari e ad altri che ricoprono cariche o incarichi pubblici.

Lisbeth Røyneland

La denuncia viene da Lisbeth Røyneland, portavoce del gruppo di supporto del 22 luglio, che nella strage di Utøia perse la figlia: “Immagino che lo faccia per farci reagire in modo da attirare l’attenzione. Ma come familiare di una vittima, lo considero una molestia. Vuole farci sapere che è lì e vuole spaventarci in un certo senso”. E aggiunge: “Ed è del tutto insostenibile che un assassino di massa possa inviare lettere alle sue vittime. Questo è assolutamente inaccettabile.”

Torbjørn Vereide (Foto Jostein Vedvik)

Un altro dei destinatari delle missive è Torbjørn Vereide, rappresentante del partito laburista al parlamento norvegese dove ha ricevuto una lettera a lui indirizzata che iniziava con “Caro Torbjørn: “C’è qualcosa di un po’ assurdo in qualcuno che ti ha puntato un’arma contro e ha sparato cercando di ucciderti e ora ti manda una lettera. Ho sentito che il mio cuore si è un po’ fermato e che la mia giornata è diventata un po’ pesante”.

Torbjørn Vereide ha pensato molto alla lettera da quando l’ha ricevuta e ha deciso di richiedere un’ordinanza restrittiva, difendendo però la libertà di espressione: “Anche se questo è doloroso,  so che non dobbiamo lasciarci trasportare e imboccare una strada che non vogliamo percorrere”. Commentando quelle che chiama “svastiche verbali” ha affermato che “Ciò che fa paura è che anche se io e la maggior parte degli altri pensiamo che ciò che scrive sia una follia, sappiamo che ci sono molti che lo supportano. Lo vediamo nel campo dei commenti e lo sentiamo occasionalmente nelle conversazioni”.

Alla domanda “Cosa hai fatto con la lettera?” Vereide ha risposto: “Ho fatto quello che era giusto. Mi sono preso un momento di tranquillità dopo averla letta, poi l’ho mandato direttamente al tritadocumenti. E lì sta bene, a strisce e a pezzi.”.

Vidar Strømme

In sintonia con Vereide è Vidar Strømme, direttore dell’Istituto norvegese per i diritti umani: “È importante che tu possa usare la libertà di espressione, anche in carcere. È un principio fondamentale. Nelle carceri di massima sicurezza, però, ciò che può essere dannoso per la pace, la sicurezza o l’incolumità degli altri deve essere sequestrato.” Prevedibilmente diverso il punto di vista di Øystein Storrvik, difensore di Breivik che ritiene che il suo assistito sia sottoposto a «condizioni estremamente rigide quando si tratta di comunicare con il mondo esterno. Difficile immaginare che ci sia una base giuridica per stringere ancora di più».

A gennaio del prossimo anno, il tribunale deciderà se Anders Behring Breivik – condannato a 21 anni di carcere che scadrebbero nel 2032 – possa essere rilasciato anticipatamente in libertà vigilata. In caso contrario, come è auspicabile, al termine dei 21 anni Breivik verrebbe nuovamente giudicato: se ritenuto non pericoloso uscirebbe subito di galera, in caso contrario verrebbe disposto un ulteriore periodo detentivo di 5 anni, prorogabile.

C’è un precedente, però, che fa temere che Breivik possa cavarsela con poco.

IL CASO NESSET

Arnfinn Nesset

Nei primi mesi del 1981 alcuni giornalisti si accorsero che in una casa di riposo a Orkdal erano morti un numero impressionante di pazienti a ritmi rapidi. I sospetti caddero su un infermiere che lavorava nella casa di riposo, Arnfinn Nesset, che aveva comprato una grossa scorta di un farmaco chiamato curacito, un derivato del curaro che serve a rilassare i muscoli e che, se assunto in alte dosi, è pericoloso e potenzialmente letale.

Nesset era entrato nella casa di riposo nel 1962; nel 1977 ne era diventato direttore e amministratore. Le uccisioni conosciute erano partite dal maggio 1977, nel momento in cui diventò direttore, ed erano finite nel novembre 1980. L’ex infermiere era rimasto per molto tempo insospettabile.

Quando fu arrestato per un interrogatorio, disse alla polizia che aveva comprato il curacito per uccidere un branco di cani randagi. Improvvisamente cambiò versione e disse di avere avvelenato 27 persone nell’arco di oltre 20 anni, a partire dal 1962. In breve tempo confessò altri omicidi: inizialmente erano 27, poi diventarono 46, poi più di 72; infine 138. In generale affermò che aveva fatto così tanti omicidi che non riusciva a ricordarseli tutti. Disse anche di avere commesso uccisioni in altri 3 istituti, ma ritrattò questa e altre dichiarazioni. Per le vittime non esprimeva preferenze. L’inchiesta durò due anni e cinque mesi. Fu condannato a scontare 21 anni di carcere, la pena massima consentita dalla legge in Norvegia. Nesset uscì dal carcere nel 2004, dopo esattamente 21 anni. Nel momento in cui fu scarcerato e pare stia vivendo in una località segreta in Norvegia sotto falso nome.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Comments are closed.