Adesso Cesare Battisti ha diritto ad una galera “normale”: resipiscenza o coda di paglia?

In questi due ultimi giorni sono apparsi alcuni articoli (li trovate sulla pagina “La vendetta dello Stato: il caso Cesare Battisti” ) che riportano in maniera sostanzialmente corretta quella che è la richiesta, reiteratamente respinta dal Dap, di poter scontare la pena  così come previsto dalla sentenza della Corte d’appello di Milano del 2019.
La cosa è significativa e lascia sperare che il dettato costituzionale, per cui nessuno può essere sottratto al suo giudice naturale, trovi tardiva ma doverosa applicazione.
Il risveglio di certi organi di stampa mi fa pensare che nell’aria possa esserci qualcosa a proposito della situazione detentiva di Battisti, ben conoscendo la prassi di fiutare il vento ed adeguarsi dei nostri giornalisti,  non tutti probabilmente, ma grandissima parte sicuramente.
Tra gli articoli forcaioli – ovviamente non ho preso in considerazione Il Giornale, Libero e Il Secolo d’Italia – una sostanziale “ prova del nove” viene, a mio avviso, dall’articolo di Pietro Mancini, classe 1952. Giornalista di Cosenza, città di cui è stato anche sindaco, ha scritto per diverse testate prima di fare la scalata alla Rai, di cui, leggo su Wikipedia, dal 1990 è vice direttore. Che abbia la tessera socialista, sempre secondo Wikipedia, e sia figlio di tal Giacomo Mancini – esponente socialista di peso il cui curriculum vede riposta anche guai giudiziari di un certo rilievo – se non l’ha aiutato nell’ascesa ai vertici Rai sicuramente non l’ha danneggiato, ritengo.

Tornando a Battisti, su Affaritaliani.It ha scritto ieri un articolo – che trovate qui – lasciando a voi l’eventuale lettura integrale.

La partenza è tutto un programma:“Battisti, liberare pericolosi ergastolani? Bisogna aspettare il Parlamento”. Questo il titolo, che lascia capire a che livelli si possa giungere quando si deve prendere una posizione senza avere argomenti concreti, e forse conoscendo solo dai giornali la vicenda. Se il titolista ha dato il peggio di sé, sempre che non sia stato proposto direttamente dall’articolista, il testo non è comunque da meno. Inizia prendendosela con Carla Bruni, “bella cantante piemontese e moglie di Nicolas Sarkozy”, a suo tempo sostenitrice di Battisti, a cui ricorda la recente condanna del marito “al carcere (tre anni, di cui uno senza condizionale), per corruzione e traffico di influenze.”.
Tocca poi a Stefano Feltri che dalle colonne di Il Domani, mette in discussione la legittimità del trattamento carcerario di Battisti. “Feltri ha ragione a invocare per un detenuto di 67 anni un trattamento giusto e dignitoso in prigione. Dimentica, tuttavia, di aggiungere che Battisti non condannò all’ergastolo, ma a morte, eseguendo le sentenze, come ha confessato, il maresciallo Alberto Santoro e l’agente della Digos, Andrea Campagna.”. Certe argomentazioni, lo ammetto, mi fanno dubitare della lucidità dell’autore: a prescindere dalla prosa, che vorrebbe essere ricercata, se non avesse commesso dei delitti non sarebbe stato condannato all’ergastolo (anche se sul processo in contumacia, in cui “l’infame”, allora si chiamavano così i delatori, Pietro Mutti ha avuto buon gioco a scaricare il più possibile su Battisti le sue responsabilità beneficiando di notevoli sconti di pena).

E arriviamo al piatto forte: “Secondo la Corte costituzionale, decidere, adesso, sulla liberazione anticipata di pericolosi ergastolani, come Battisti, senza attendere l’intervento del Parlamento, che ha un anno di tempo per decidere, metterebbe a repentaglio la forza di contrasto alla criminalità organizzata. Sbaglia, dunque, Feltri a vergare che la nostra giustizia non è all’altezza di uno Stato di diritto e a dar ragione alla “gauche caviar di madame Bruni e compagni. Nessuna vendetta dell’Italia contro Battisti. … “. La domanda viene spontanea: “ Ci sei o ci fai?”, come si suol dire. Possibile che un giornalista arrivato ai vertici della Rai dopo una lunga esperienza nella carta stampata non sappia che la sentenza della Corte costituzionale cui si riferisce tratta dell’ergastolo ostativo, inflitto prevalentemente per delitti di mafia, che impedisce ai condannati di usufruire di tutti o quasi i “benefici” di legge.
Che Cesare Battisti, da oltre quarant’anni staccatosi dalla lotta armata, possa costituire un pericolo in una realtà come quella attuale in cui le formazioni che diedero vita alla lotta armata non esistono più da decenni fa sorridere, a voler essere benevoli.
Quando si sceglie la strada della menzogna tutto è sicuramente più facile, così l’autore non esita ad affermare: “ …I critici, italiani e francesi, della detenzione di Battisti e dell’estradizione dei terroristi, di recente acciuffati a Parigi, sono silenziosi, come in passato, sui diritti e sulla giustizia, che uno Stato, equo e sereno, deve assicurare anche ai familiari delle vittime.”

Probabilmente l’articolista neppure sa di cosa parla, visto che c’è stata, soprattutto in Francia ma anche in Italia,  una grossa mobilitazione politica e mediatica, ovviamente si parla di media non sotto il controllo padronale.
Dal suo punto di vista, probabilmente, si dovrebbe tornare alla gogna, quella vera perché quella mediatica ha lavorato parecchio, e forse ai lavori forzati, magari con la classica palla di ferro al piede.
Un giornalista “talebano”  come Pietro Mancini ovviamente non ha letto quanto scritto in prima persona da familiari di vittime della lotta armata.
Un nome che sicuramente tutti conoscono è quello di Agnese Moro. Da “tempi.it”: «Sperare di non perderne nessuno». Lo scrive sulla StampaAgnese Moro, figlia di Aldo, ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse quando lei aveva 25 anni. Parlando del carcere sulla scorta del caso Cesare Battisti, il terroristaarrestato in Bolivia dopo 37 anni di latitanza e soggetto a uno show poco edificante al momento del suo arrivo in Italia, la figlia del segretario della Dc si chiede «che cosa vogliamo» dal nostro sistema penale: «Si fronteggiano due visioni. Una prima sostiene che chi ha compiuto errori gravi o gravissimi deve essere punito con una sofferenza eterna, in qualche modo proporzionale all’irrimediabilità dell’atto compiuto. Anche perché, secondo questo modo di vedere, se si è stati cattivi una volta lo si sarà per sempre, senza possibilità di cambiare. In base a un secondo punto di vista, chi ha commesso un errore, anche gravissimo, deve essere fermato, giudicato, aiutato con ogni mezzo e risorsa ad un ripensamento serio; e, se privato della libertà, trattato, comunque, con la dignità e il rispetto che merita ogni persona, buona o cattiva che sia. Questo secondo modo di vedere le cose scommette sul fatto che le persone possono e spesso vogliono cambiare, e che lo fanno molto di più di quello che noi pensiamo».

Ho scritto che il cambiamento di atteggiamento della stampa potrebbe preludere a qualche cambiamento, positivo, nella situazione carceraria di Cesare Battisti. Ne sono convinto, anche se non escludo che possa trattarsi invece di un “ pararsi il culo”, espressione poco fine ma efficace, in caso di decesso di Cesare Battisti in seguito allo sciopero della fame e della terapia di cui necessità.
A proposito di gogna, chiudo con questo scritto di Andrea Marcenaro, pubblicato su Il Foglio il 25 marzo 2019: “La gogna consisteva in un collare di ferro assicurato a un muro o a un palo, e stretto intorno al collo del condannato, con totale libertà del popolo di infierire sul reo con sputi, insulti, percosse e quant’altro. Il collare di ferro adesso è scomparso, né il popolo può più infierire sul reo con sputi e percosse, anche se, forse forse, con insulti e quant’altro (tutto virtuale, eh) un poco sì. Ma adesso che Battisti ha confessato davanti al magistrato la propria colpevolezza, rivelandosi a tutti per lo stronzo che è, si spera che i rompicoglioni i quali a proposito del suo, diciamo così, spettacolare rientro, avevano parlato di gogna, la smettano di rompere e di citare Beccaria. Ma quale Beccaria e Beccaria. Prendano piuttosto atto. Il ministro Salvini è stato ineccepibile, il ministro Bonafede pure, non s’è notata esibizione alcuna, proprio volendo, se mai, un eccesso di sobrietà, e la civiltà della norma non ha subito traumi. Anzi. Se poi desideriamo fare una cosa più carina ancora, il prossimo che ci ridanno lo squartiamo al Circo Massimo con i cavalli.”.

 

 

 

 

 

 

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