Macerata: riflessioni a partire da un articolo di Stefano Kovac (Arci Genova), e la lettera di una studentessa italiana di origine nigeriana a Macerata

Tra le tante cose dette e scritte sulla vicenda di Macerata – adesioni, dietrofront etc –  c’è un intervento che in qualche misura mi riguarda e merita quindi da parte mia una pubblica riflessione, serena e sincera per quanto nelle mie capacità.

Parlo di quanto avvenuto nell’Arci – l’adesione alla manifestazione di domani a Macerata, il successivo dietrofront e, soprattutto quanto accaduto tra gli iscritti di queste associazioni in molte parti d’Italia – e lo faccio non dimenticando di aver fatto parte dell’Arci, cittadino e regionale, come lavoratore e per un certo periodo anche come componente del direttivo cittadino.

Giunta l’ora dell’agognata pensione i miei rapporti lavorativi si sono ovviamente interrotti – restando comunque salde alcune amicizie maturate in quel periodo – ma non per questo ho rimosso quell’esperienza né tanto meno la rinnego; mi sono infatti  occupato in particolare della comunicazione dell’associazione – verso l’esterno ma anche interna attraverso gli strumenti appositamente creati – e non certo da mero esecutore, anche se ovviamente al termine di confronti sempre molto aperti e franchi non ho mai avuto difficoltà ad accettare che passasse “la linea” di chi sulle spalle aveva la responsabilità dell’associazione. Questo è stato possibile, in particolare, grazie all’apertura mentale e politica, di due dirigenti tuttora in carica, Stefano Kovac, presidente di Arci Genova, e Walter Massa, presidente di Arci Liguria, che hanno accolto il mio “animo sovversivo”  come una delle tante anime dell’associazione di cui tener conto.

Locandina del Circolo Rinascita di Pisa.

Diverso è il discorso sull’Arci nazionale, saldamente nelle mani di presidenti di stretta osservanza PD – Paolo Beni, ora deputato PD, e Francesca Chiavacci, attualmente in carica, entrambi di Firenze, tra l’altro – dopo la prematura scomparsa di Tom Benettollo, dirigente che seppe fare dell’associazione un  autorevole punto di riferimento per la sinistra, e non solo quella istituzionale. Non a caso l’associazione ebbe un ruolo significativo nella vicenda del G8, ruolo impensabile sotto le due successive presidenze.  Sul sito nazionale non ve n’é ancora traccia, ma l’associazione nazionale dovrebbe andare a congresso nei prossimi mesi, e non mi stupirò se si tratterà di un congresso “incandescente” come quello di quattro anni fa, che ebbi la possibilità di seguire personalmente, e in cui il rischio di una grave frattura è stato corso ripetutamente.

L’intervento di cui parlo è quello di Stefano Kovac (qui), che inizia in maniera decisamente chiara e inequivocabile: “Mettiamo subito in chiaro una cosa sulla manifestazione di Macerata abbiamo fatto una cazzata, grossa. E mettiamone in chiaro un altra ce ne dobbiamo assumere la responsabilità, tutti, anche chi come chi scrive, con la scelta di non partecipare alla manifestazione non era d’accordo e lo ha detto nei luoghi deputati e pubblicamente….”.

Ritengo che il dietrofront della presidente nazionale costituisca un atto grave, reso grottesco dalla decisione della  Chiavacci di essere domani a Macerata col presidente di Arci Marche “assieme a una delegazione, per stare accanto ai circoli che hanno deciso di esserci.”. Io penso che si tratti di un “escamotage” precongressuale – che si tratti di circolo “amici”, per rimediare alla figuraccia, oppure no nella speranza di mischiare le carte.

Essendo fuori dall’associazione, la cosa mi interessa poco. Mi interessa di più invece la successiva riflessione di Kovac (che comunque domani sarà a Macerata): “…Ora però a tutti i compagni e le compagne che ci accusano di ogni malefatta, di intelligenza col nemico, di pavidità voglio chiedere: “ma davvero? Davvero pensate le cose che scrivete?” Nella nostra storia abbiamo sempre deciso di occupare un posto difficile, abbiamo scelto di essere sul confine fra formalità ed informalità , di essere una organizzazione nazionale grande e strutturata che dialoga con forze formali e strutturate ma anche con forze più informali, liquide; di essere nei movimenti e coi movimenti. Abbiamo vissuto sul confine, abbiamo abitato le contraddizioni . Non è facile essere “istituzionali” e criticare anche radicalmente le politiche dei governi sui diritti, sulla guerra, sull’immigrazione, sulla globalizzazione come abbiamo fatto regolarmente in questi anni. Non è facile essere in piazza coi movimenti e non perdere i contatti con i circoli più tradizionali. Ci abbiamo provato ed in larga parte ci siamo riusciti. In queste difficoltà a volte si sbaglia….”.

Penso che una riflessione su quanto sopra possa interessare molte/i, anche se ovviamente non tutte/i. Io ho sempre stimato compagne e compagni che hanno scelto di non aver nessun rapporto con le istituzioni, ivi comprese anche quelle organizzazioni che rientrano nell’ambito istituzionale. Non ho mai avuto difficoltà a rapportarmi con loro su una base di grande chiarezza, non nascondendo nulla di quello che sono stato, dal mio impegno da cane sciolto negli anni 70/80 – pronto però ad impegnarmi concretamente ed in prima persona nelle lotte in cui credevo – al lavoro all’Arci. Non è quindi a loro che rivolgo idealmente queste mie riflessioni.

Mi rivolgo invece, in modo generale, a quante/i si trovano a fare i conti con le contraddizioni che derivano dall’essere comunque parte di realtà che con le istituzioni, in senso lato, in qualche modo devono necessariamente avere a che fare.

“I movimenti di lotta per la casa incontrano l’Assessorato alle Politiche abitative
venerdì, 29 maggio 2015″ |(Fonte: www.terzobinario.it)

Nelle lotte contro gli sfratti, ad esempio, è normale instaurare una sorta di trattativa con chi è chiamato a notificare lo sfratto per strappare dei rinvii che possano costituire una boccata d’ossigeno per chi si trova nella drammatica condizione di minacciati di sfratto. Trattativa che ovviamente è possibile quando l’ufficiale giudiziario si trova davanti persone decise a difendere gli inquilini sotto sfratto, sia pur con la consapevolezza che gli sfratti in linea di massima si possono solo bloccare temporaneamente. Analogamente compagne e compagni che avviano un’attività commerciale devono fare i conti con leggi e regolamenti, spesso usati in maniera vessatoria ma formalmente legale.

Personalmente questa contraddizione l’ho vissuta in maniera particolarmente pesante negli anni 70/80 quando a fronte della spietata e cinica offensiva statale contro quanto si muoveva a sinistra del PCI – ovviamente in nome della lotta a quello che chiamavano terrorismo, cioè la lotta armata intrapresa da numerosissime compagne e compagni – tra cui la grande retata del 7 aprile 1979. Con tantissime compagne e compagni scegliemmo di costituire un coordinamento dei tanti comitati contro la repressione sorti un po’ dappertutto, che diede poi vita ad una pubblicazione, il Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione che diede spazio a compagne e compagni prigionieri, a prescindere dalla loro collocazione politica. Analogamente sorsero associazioni di amici e parenti delle prigioniere e dei prigionieri che dovettero fare i conti con l’uso bieco e strumentale delle direzioni carcerarie e degli sbirri carcerari che avevano carta bianca nello svolgimento del loro sporco lavoro. Non nego che l’essere giornalista professionista – e per scelta inserito nell’organismo sindacale della categoria – abbia sicuramente costituito un buon parafulmine rispetto alla repressione dilagante. Intendiamoci, non sto cercando di far credere che abbia fatto chissà quali cose, ma posso assicurare che a quei tempi non era necessario per finire nelle mani dei vari magistrati piciisti, Armando Spataro giusto per fare un nome, con cui l’alternativa era fare dei nomi o marcire in galera.

Ovviamente questo vale, dal mio punto di vista ancor di più, per chi sceglie di entrare nella mischia elettorale in vista del 4 marzo. Giacomo Marchetti, candidato di Potere al Popolo, così commenta la presa di posizione di Stefano Kovac: “Premesso, stimo chi ha scritto queste righe così come stimo Walter Massa, con cui condivido ben poco delle opzioni politiche anche recentemente da lui suggerite, e registro positivamente quest’atto di coraggio. Il problema rimane, essersi defilati in un momento come questo da assumersi una responsabilità politica, rimane un fatto grave perché dietro c’è una precisa regia politica (non parlo di un “gomplotto”) trasversale di negazione di agibilità politica a chi il fascismo, nelle sue immense sfumature di nero, lo denuncia da anni, ed in generale vengono messi in discussione i margini di azione politica per tutti coloro che sto mondo lo vogliono cambiare e non si assuefanno alla catastrofe politico sociale (di cui il neo-fascismo è allo stesso tempo “mezzo” e “prodotto”). Nessuno mette in discussione l’operato dell’Arci, a quello ci pensano i “renzi boys” del PD, ma va capito il quadro che come ha giustamente sottolineato Bruno Pastorino è “tragico”. Spero domani di vedere a Defe anche le bandiere e i compagni dell’Arci, non solo dei “circoli” ribelli. Sarebbe un bel pugno nello stomaco ai neo-fascisti e a Renzi. Compagni che tra l’altro erano in piazza anche lo scorso 3 febbraio”.

Chiudo queste mie arruffate riflessioni, senza la pretesa di trarre alcuna conclusione. Mi limito a dire, forse un po’ provocatoriamente, che non essere stati capaci di dare una risposta immediata ad un fatto eclatante come l’accoltellamento di un compagno da parte dei fascisti di Casa Pound fornisce materia più che sufficiente per riflettere seriamente sulla situazione e sulle prospettive che ci attendono. Nella speranza che la manifestazione del 3 febbraio – con la straordinaria partecipazione che ha fatto registrare, tra cui quella di moltissime/i giovani antifasciste/i – non sia ormai solo acqua passata.

Sempre a proposito di quanto avvenuto a Macerata, rilancio volentieri la lettera aperta di Oiza Q. Obasuyi, studentessa italiana di origine nigeriana a Macerata, studia Lingue, pubblicata da https://comune-info.net.

Macerata, manifestazione spontanea del 4 febbraio 2018. Foto tratta dalla pagina fb del Centro sociale Sisma di Macerata

Macerata, ricapitoliamo tutto

Ricapitoliamo dunque quanto accaduto a Macerata (e soprattutto sui media).

Uno. Innocent Oseghale, nigeriano, viene accusato dell’omicidio di Pamela. Ci sono ancora diverse indagini in corso e non si è ancora capito se sia stato lui ad ucciderla, si indaga su altri sospetti. Ciò non toglie la gravità del suo coinvolgimento e l’orrore della morte di quella ragazza e di come sia stato trattato il suo corpo.

Due. Poco dopo ecco che spunta Luca Traini, neofascista dichiarato che compra una glock e inizia a sparare neri a caso (e permettetemi di dire che c’è stata pochissima attenzione dei media nei confronti delle vittime, e lascio a voi i commenti) per le vie di Macerata. Indossa una bandiera italiana, arriva al monumento ai caduti della città, fa il saluto romano e poi, finalmente, viene arrestato dalla polizia. Dice di averlo voluto fare per “vendicare Pamela”. Finisce in galera con l’accusa di tentata strage con aggravante razziale.

Tre. Nel frattempo alcuni giornali fanno circolare la bufala del fatto che Traini fosse il fidanzato di Pamela e che quindi si trattava di un “delitto passionale”. La madre di Pamela smentisce il tutto dicendo che i due non si conoscevano.

Quattro. Poi ci sono quelli che lodano l’atto di Traini perché “poverino era esasperato e con l’immigrazione incontrollata può essere giustificato. E allora…”. Aggiungo che Forza Nuova vuole pagargli le spese legali. E io mi farei due domande.

Conclusione?

La conclusione è che ancora non ho capito il motivo per cui se uno straniero commette un reato, in qualche modo è anche colpa di quelli che hanno la sua stessa origine o la stessa melanina, senza alcuna distinzione.

La conclusione è che ogni persona sana di mente condannerebbe ciò che è successo alla povera Pamela.

La conclusione è che ci sono un clima d’odio e una tensione da non sottovalutare, alimentati dai battibecchi in cui gli immigrati, gli italiani di seconda generazione, sono gli oggetti per ottenere i voti in campagna politica. Inoltre, a pare mio, si sottovaluta la crescente circolazione di idee sovversive e aggressive (ci sono gruppi segreti di neofascisti che pubblicano foto di armi e trattano Traini da eroe).

La conclusione è che non capisco perché ci siano persone che continuano a ribadire che chi ha le origini di Oseghale, debba prendere le distanze e vergognarsi. Io sono di origine nigeriana, quindi? Vergognarmi per cosa? Per un omicidio che non ho commesso e con cui non c’entro niente? Perché è questo ciò che pensava Traini, e che pensa chi lo considera un’icona, che siamo tutti “brutti cattivi e delinquenti”.

Quei ragazzi potevano essere studenti, potevano essere lavoratori, ma anche fossero stati richiedenti asilo, perché sarebbe stata colpa loro per la morte di Pamela?

Io condanno con tutta me stessa l’omicidio di Pamela, ma non mi assumerò mai la responsabilità per ciò che le è successo. Altrimenti bisognerebbe pretendere che ogni italiano bianco di questa penisola si vergogni e si autoproclami un malvivente per ogni mafioso che viene arrestato.

In tutto ciò, spero di vedere tante persone sabato 10 febbraio a Macerata (Manifestazione nazionale contro fascismo e razzismo).

 

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